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Bergamo e il suo dimenticato Parco della scultura

Articolo. Sono pochi, troppo pochi probabilmente, i bergamaschi (figuriamoci i turisti) che sanno che nel cuore della città esiste da anni un piccolo Parco della scultura en plein air, dedicato agli artisti del territorio di ieri e di oggi. Appare dunque significativo il primo passo verso una nuova valorizzazione.

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Il Parco della scultura della Provincia di Bergamo ha infatti un nuovo volto e riapre al pubblico, dopo una prima fase di interventi di conservazione sulle opere e di riordino e aggiornamento delle didascalie che le accompagnano. Coordinata da Paola Tognon, la fase di riordino appena conclusa è consistita in un intervento conservativo sulle sculture condotto dai restauratori Franco Blumer e Anna Rizzi, in un nuovo sistema didascalico, accessibile anche agli ipovedenti, progettato dall’architetto Valentina Nani, nell’elaborazione di approfondimenti digitali accessibili tramite Qr-code e nella campagna fotografica affidata a Mario Albergati.

Le prospettive future non mancano: «Proseguire l’attività di manutenzione conservativa, – spiega Tognon – concludere l’attività di ricerca sulla documentazione relativa alle opere, dotare il Parco di semplici arredi che lo rendano più accogliente e, ci auguriamo, anche l’implementazione del nucleo di sculture».
La trasformazione in chiave artistica dell’ampio spazio verde del Palazzo di via Tasso, con un’attenzione rivolta agli artisti del territorio, era stata avviata con grande slancio nel 2001-2002 dall’allora amministrazione Bettoni, con la installazione di opere, acquisite o ricevute in donazione o comodato, di Stefano Locatelli, Giacomo Manzù, Alberto Meli, Franco Normanni, Ugo Riva, Edoardo Villa.
L’idea era più che buona. Tuttavia, vuoi per una comunicazione che è finita per languire nel tempo, vuoi perché negli ultimi anni i cancelli del giardino hanno chiuso l’accesso al pubblico, il Parco è stato “dimenticato”.

A contribuire è stata con ogni probabilità anche la scelta non proprio felice di alcune acquisizioni e una visione progettuale non proprio rigorosa. Il tema della scultura, in senso ampio, ma ancor più quello della scultura pubblica, è particolarmente complesso. Dunque, la politica di acquisizioni da parte della Provincia così come il progetto disegnativo di un percorso espositivo preciso all’interno del Giardino di via Tasso, avrebbe forse meritato un supporto specialistico sin dall’inizio e in tutte le sue fasi.

Ad oggi, infatti, l’unica opera che ci appare perfettamente contestualizzata nel nostro Parco della Scultura è la «Pesca subacquea» di Stefano Locatelli che, acquisita nel 2007, vede il fiocinatore sospeso proprio sul pelo dell’acqua della fontana, a rispecchiare nel modo migliore quel presagio della pesca, quella narrazione dell’istante che precede l’azione, che l’autore aveva voluto imprimere al corpo, allo sguardo e all’inclinazione della sua creatura. Anche le opere di Alberto Meli hanno felicemente trovato casa in questo giardino, ma certo il carattere intrinsecamente naturalistico e germogliante del suo lavoro ha fatto gioco.

Convincono invece poco o per nulla altre, importanti scelte. Peccato, per esempio, dover osservare la scultura di Ugo Riva «Come impertubabili dèi» nel lato del giardino che si affaccia su via Camozzi. L’opera, infatti, era stata commissionata dalla Provincia all’artista nel 2008 per essere collocata nella corte di ingresso del Palazzo e dunque era stata concepita per quella specifica ubicazione e per interagire prospetticamente con le architetture e con il passaggio delle persone su via Tasso.

L’operazione meno riuscita, tuttavia, a conti fatti è stata proprio quella relativa al significativo nucleo di sculture di Giacomo Manzù, che nel 2002 la Provincia ha acquisito dagli eredi dello scultore, con un investimento di 1 milione e 136 mila euro. Tra le sculture acquistate, ad approdare en plein air, nel Giardino della scultura sono state opere certamente imponenti, ma che poco rendono merito alla mano inconfondibile del celebre scultore.

Senza entrare nel merito di una genesi realizzativa delle opere di cui non conosciamo tutti i passaggi, possiamo tuttavia rilevare che è difficile, anche per l’occhio di un profano della scultura, non notare le rigidità e il modellato persino grossolano in alcuni dettagli della grande «Donna che guarda», così come di quel «Caravaggione», che fa persino sorgere il dubbio trattarsi di un’opera non finita. Dopo aver troneggiato una ventina d’anni nel Giardino provinciale, dal 2021 siede “spaesato” all’ingresso dell’aeroporto di Orio al Serio «Il Caravaggio», cui è stato concesso in comodato gratuito. L’opera non è di quelle che presentano al meglio il nostro straordinario Manzù alla platea internazionale dell’aeroporto, se non fosse per la splendida canestra di frutta posata ai piedi della grande figura seduta. Quella sì, inconfondibile prodotto del genio di Manzù!

Forse, in futuro, se si dovesse pensare a un ritorno in via Tasso, alla Provincia converrebbe riportarsi a casa unicamente questo iconico cestino, lasciando il suo - un po’ sgraziato - proprietario al suo destino…

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