Con l’iconografia e le regole implicite del rito del Natale non si scherza. L’albero natalizio è il Tannenbaum, l’abete, altrimenti la tradizione è snaturata. Babbo Natale deve essere un anziano signore panciuto, con riccioli e folta barba bianca, vestito di rosso, così come si racconta l’abbia codificato la pubblicità della Coca Cola dal lontano 1931. Il presepe deve necessariamente riunire in una grotta il Bambino, Maria, Giuseppe, il bue e l’asinello.
Difficilmente negli ultimi decenni queste coordinate sono cambiate: calde e rassicuranti, universalmente condivise, sono la perfetta traduzione in immagine di quello “spirito del Natale” che, si sa, è l’unico periodo dell’anno in cui magicamente – e sia pure temporaneamente – i valori positivi regnano incontrastati: si ricompongono i conflitti familiari, la parola d’ordine è carità e solidarietà, si impennano l’etica del focolare, della famiglia allargata, dell’armonia sociale.
È pur vero che il Natale è “una festa paradossale”, che “semplifica provvisoriamente le regole sociali ma in cambio crea paradossi accettati in quanto tali”, perché di fatto “afferma una visione manichea, dualista della vita in società: povertà e ricchezza, infanzia e vecchiaia, solitudine e compagnia, malinconia e allegria, risparmio e spesa”. Così Martyne Perrot nel libro “Etnologia del Natale”, ormai diventato un classico della sociologia natalizia.
Ma, per rimanere nel campo dell’antropologia, è anche vero che, gratta gratta, anche al cuore di quella grande “invenzione” che è il Natale così come lo viviamo oggi, c’è qualcosa di profondamente vero: “Non facciamo dell’ironia su questa grande fiera annuale, nella quale i fiori, i dolciumi, le cravatte e i cartoni decorati non fanno che passare di mano; infatti in questa occasione e mediante questi umili mezzi tutta la società prende coscienza della sua natura: la solidarietà” (Claude Lévi Strauss, Courrier de l’Unesco, agosto-settembre 1955).
Tuttavia anche il Natale deve necessariamente cambiare di pari passo allo spirito di tempi se vuole rimanere in vita. Di conseguenza negli ultimi anni sta cominciando a mutare le sue forme. Non parliamo della metamorfosi più ovvia, cioè quella portata dalla rete, che ha reso praticamente inutile spedire una lista di desideri a Babbo Natale: il bambino può crearsela direttamente su Amazon e ricevere tutto il giorno dopo senza dover attendere che il vegliardo con le renne compia il suo lungo viaggio dal Nord.
Ci riferiamo piuttosto a una torsione in profondità, che riguarda quelle immagini iconiche intoccabili e invece in mutazione, capaci di raccontare qualcosa di diverso. Piccole grandi “rivoluzioni” che fanno clamore ma inducono anche alla riflessione, subito virali sui social oppure consumate nella dimensione discreta del Natale di Paese.
Chi è oggi Babbo Natale?
A svelarlo è Bansky. Proprio mentre in rete e sulla stampa mondiale impazzava la tragicomica avventura della banana di Cattelan, “installata” con una striscia di scotch alle pareti della Fiera Art Basel Miami – cui è seguita, vero colpo di genio, l’azione dell’artista David Datuna che in pochi minuti ha staccato il frutto dal muro e lo ha mangiato insieme ai 120 mila dollari dell’opera, intitolando la performance “Hungry Artist” (artista affamato).
Nei giorni scorsi Bansky ha compiuto uno dei suoi proverbiali blitz artistici su un muro di Birmingham, nel cuore del quartiere delle gioiellerie. Filmata e postata su Instagram dall’artista, la nuova opera ha come protagonisti, probabilmente involontari, il senzatetto Ryan e la panchina di legno che è la sua “casa”: Ryan si stende sul suo giaciglio e l’inquadratura si allarga mostrando il graffito di Bansky che fa comparire due renne trainanti la panchina-slitta che portano in cielo il Babbo Natale-clochard. Non c’è miglior commento di quello scritto dallo stesso Bansky all’opera destinata a cambiare, almeno per il 2019, l’immagine di Babbo Natale: “Dio benedica Birmingham. Nei 20 minuti in cui abbiamo filmato Ryan su questa panchina, i passanti gli hanno dato una bevanda calda, due barrette di cioccolato e un accendino – senza che lui chiedesse mai nulla”. Eccola la solidarietà natalizia descritta da Lévi Strauss che non c’era prima e forse non ci sarà dopo, perché siamo certi che fino all’incursione di Bansky nessuno si era accorto del povero Ryan.
Banksy del resto non è nuovo nell’impresa di trasformare gli auguri natalizi in un grido sociale. Lo scorso anno era apparso in Galles il graffito “Season’s Greetings”, un tenero bambino che sembrava assaggiare i fiocchi di neve che cadono dal cielo. Peccato che, girando l’angolo del muro, apparisse con orrore l’immagine di un cassonetto incendiato. Il bimbo mangiava cenere, dunque, la pioggia nera prodotta dalle vicine acciaierie, un disastro ambientale che aveva ricoperto la città come una coperta velenosa.
Babbo Natale, senza permesso di soggiorno
Vale la pena di ricordare anche la “cartolina” natalizia regalata lo scorso anno ai muri milanesi dallo street artist italiano Tvboy (quello del famoso bacio tra Salvini e Di Maio). Il “Babbo Natale Turco” disegnato da Tvboy veniva ammanettato e portato via da un agente di polizia. Anche qui, il commento dell’artista sui social: “Permesso di soggiorno negato per Babbo Natale, nessuno si ricordava più che San Nicola arrivava dalla Turchia”. Il riferimento è a San Nicolaus, vescovo di Myra e patrono di Bari, diventato il Santa Claus dei paesi anglosassoni, il NiKolaus della Germania che a Natale porta regali ai bambini, infine trasformato all’inizio dell’Ottocento nel Babbo Natale che tutti conosciamo da una poesia di Clement Clarke Moore.
La critica alla politica del governo in materia di immigrazione non passò inosservata e a pochi giorni dalla sua comparsa il murales era stato rimosso dagli incaricati del Comune di Milano.
Se San Giuseppe e la Madonna bussassero alla nostra porta
Quelle degli artistar non sono le uniche, “coraggiose” innovazioni all’iconografia del Natale. Senza tanta eco mediatica, ma dall’efficacia non inferiore a giudicare dalla reazione sorpresa e punta sul vivo della gente, è la proposta dello storico gruppo della sede di Ponte San Pietro dell’Associazione Italiana Amici del Presepio.
Nell’edizione speciale per i cinquant’anni degli Amici della tradizionale mostra di presepi allestita nella Chiesa Vecchia di Ponte (fino al 12 gennaio, orari: tutti giorni, festivi compresi, 9.30-12 e 14-18.30), tra presepi in “stile nazareno” ambientati in Oriente o allestimenti “nostrani” tra borghi storici innevati e cascinali contadini, spuntano due provocatori presepi del presente. Nel primo, due bimbi si apprestano a ricostruire il presepio dalle macerie di una guerra o di un terremoto. Nel secondo, intitolato “Ricerca dell’alloggio”, una Madonna incinta e un San Giuseppe dei nostri giorni bussano alla porta di una qualsiasi delle nostre case. A noi decidere se accogliere o chiudere la porta.