Quanto ci affascinava negli anni Ottanta seguire lo scalpello che nello spot cult della Brancamenta modellava un freschissimo bicchiere di ghiaccio, seguito dall’inevitabile brivido “Brrr…”.
Da allora l’arte nel ghiaccio di strada ne ha fatta, grazie ad artisti e designer – che non si sono lasciati sfuggire il fascino effimero di questo materiale – e all’evoluzione tecnologica che ha consentito di fare fronte alle difficoltà tecniche che poneva.
In principio furono gli abitanti degli sperduti villaggi cinesi: veniva congelata l’acqua nei secchi, estratto il cilindro di ghiaccio, si versava acqua in un buco ricavato nella parte superiore e si infilava una candela. Ed ecco pronte le suggestive e traslucide lanterne di ghiaccio. Un’idea tutto sommato alla portata anche di chi tra di noi ha poca manualità.
Sono gli antenati degli abili scultori e architetti del ghiaccio che oggi sono capaci di cose strabilianti. Puoi soggiornare in hotel di ghiaccio e non solo nei Paesi freddi, come nel celebre Ice Hotel in Svezia – il primo, iconico e copiatissimo – ma da questo inverno anche in una delle lussuose camere-igloo costruite sul Ghiacciaio Presena, vicino all’igloo che ospita l’Ice Music Festival. Poi ci sono interi villaggi di ghiaccio, come il Tomamu Ice Village sull’isola giapponese di Hokkaido, e chiese sul ghiaccio dove puoi pronunciare voti nuziali da brivido.
I festival di arte nel ghiaccio sono ormai diffusi in tutto il mondo, fra Stati Uniti, Europa e Cina. Quest’ultima ospita ogni anno lo spettacolare festival di Harbin, in cui ci si ritrova al cospetto di veri e propri edifici a più piani concepiti nel ghiaccio e altre stramberie assortite – uno dei pezzi più famosi è di Nakamura, un artistar del settore, racchiudeva un uccello all’interno di una gabbia alta più di 10 piedi (3 metri).
Privilegio di noi bergamaschi è quello di non dover andare troppo lontano per prendere confidenza con le potenzialità creative del ghiaccio: il 25 e 26 gennaio ritorna a Valbondione la sfida glaciale “Giass e Nef”, che ogni anno richiama scultori del ghiaccio da ogni parte d’Italia, per sfidarsi a colpi di creatività modellando grandi cubi di ghiaccio e neve da 2 x 2 metri.
Ne nasce una singolare galleria en plein air che può spaziare da forme semplici e geometriche a gigantesche figure di persone e animali, complete di ogni minimo dettaglio (il programma completo sul sito, link in fondo).
Le opere hanno in comune un destino d’inevitabile scioglimento, che a pensarci bene può essere letto come una metafora di fragilità (sotto la solidità apparente) o un’immagine più o meno poetica a seconda del vostro grado di cinismo sullo scorrere del tempo. Ma più di tutti i significati possibili, il ghiaccio che si scioglie lancia un allarme in sottofondo: secondo i meteorologi nel 2100 i ghiacci artici scompariranno, con conseguenze sul clima del pianeta e sul livello dei mari. Una cosa che potrebbe coinvolgere con conseguenze disastrose almeno un quarto della popolazione mondiale.
Catastrofismo? Non è questa la sede per parlarne, quindi godiamoci questa carrellata di artisti di ieri e di oggi che hanno scelto di raccontare con il ghiaccio, mettendo in gioco tutta la complessità tecnica ed evocativa che questo materiale porta con sé.
Caspar Friedrich, Il mare di ghiaccio
Il dipinto è stato eseguito tra il 1823 e il 1824, ma ne percepiamo oggi un senso tutto contemporaneo. La poppa di una nave naufragata spunta nel mezzo di una distesa di ghiaccio che, frammentata in mille schegge acuminate, germoglia come una algida “cattedrale” che si protende con la sua guglia di iceberg verso il cielo.
L’opera di Friedrich s’ispira alla fallita spedizione al Polo Nord della nave Hecla e della Griper di Sir William Parry, ma il sottotitolo “Naufragio della Speranza” ci guida verso il vero monito: il tentativo umano di governare la natura e di penetrare nel mistero dell’infinito è destinato a fallire miseramente.
Gli “eroi minimi” di Néle Azevedo
Sono sculture “impermanenti” quegli omini “solubili” di ghiaccio che l’artista brasiliana dissemina nelle città contemporanee, da San Paolo a Parigi, da Berlino a Firenze.
I suoi “melting men”, alti meno di venti centimetri, sono stati assurti dagli ambientalisti a icone della lotta al cambiamento climatico e occupano a centinaia scalinate, gradini, spalti urbani. Si propongono come metafisici anti-monumenti, dedicati all’eroe comune che ha il coraggio di sfidare il tempo che li piega, li deforma, li riduce, e alla fine li dissolve. “Il problema della scomparsa smuove la gente – spiega l’artista – E per la nostra cultura è fondamentale capire che siamo mortali”.
Gli Ice Watch di Olafur Eliasson
Da Parigi alle rive del Tamigi con i dodici blocchi di ghiaccio da ottanta tonnellate prelevati dall’artista danese dagli iceberg della Groenlandia con l’aiuto del geologo Minik Rosing. Disposti in circolo, a scandire le ore dell’orologio climatico, sono un drammatico avvertimento che sta per scadere il tempo per provare a ridurre i devastanti effetti del riscaldamento globale.
Simon Beck, geometrie sulla neve
L’artista stupisce disegnando più che complesse geometrie su “fogli” di neve e di ghiaccio. E lo fa in prima persona, muovendosi sulle superfici innevate con delle ciaspole speciali, orientandosi con una bussola. Ore e ore per tracciare e intricare migliaia di impronte, un lavoro che prosegue anche al buio, con l’ausilio di una lampada da casco, fino a che la forma non è terminata. Viste dall’alto, le sue creature sono ragnatele magiche, comparabili all’emozione di svegliarsi e scoprire un nuovo cerchio nel grano.
I giardini ibernati di Azuma Makoto
Makoto riesce a catturare e fermare l’attimo in cui la natura dispiega tutta la sua inesplicabile bellezza. I suoi Iced Flowers sono grandi bouquet di specie tropicali o semplici mazzi di fiori di campo che l’artista iberna e imprigiona in suggestive “scatole” di ghiaccio”. Come se fosse possibile godere in eterno di una natura senza tempo.
La capanna di Anish Kapoor
“Warming Huts” è la manifestazione internazionale che ogni anno invita artisti e architetti a creare “capanne riscaldate” nella città di Winnipeg, in Canada. Tra le stelle che hanno brillato di più c’è quella del celebre artista Kapoor con la sua “Stackhouse”, una sorta di guscio-caverna di ghiaccio in cui ciascuno può trovare un nido e un rifugio.
L’uomo di ghiaccio di Baku Maeda
Sembra un gioco ma non lo è poi così tanto, quello dell’illustratore giapponese Maeda, che lavora il ghiaccio per creare oggetti di uso quotidiano: occhiali, cannocchiali e “buste” trasparenti che, indossate dall’artista, ne trasformano la fisionomia come maschere inquietanti, capaci di scomporre come un prisma tutte le mille facce, vere o false che siano, che coabitano in ciascuno di noi.
Sculture “Made in nature”
Anche l’inverno è un abile scultore, incantandoci con le forme inebrianti di cascate di ghiaccio, castelli gelati, laghi congelati, tra cui anche il nostro lago di Endine. Tra tutte le meraviglie di ghiaccio modellate da madre natura citiamo le sculture create dal vento e dal gelo sul monte sloveno Javornik, immortalate dal fotografo Marco Korosec che le ha non a caso soprannominate “Icy Dragon”.
- Artisti più o meno famosi che si cimentano con il ghiaccio per ricordarci che siamo mortali
- Caspar Friedrich, Il mare di ghiaccio
- Gli “eroi minimi” di Néle Azevedo
- Gli Ice Watch di Olafur Eliasson
- Simon Beck, geometrie sulla neve
- I giardini ibernati di Azuma Makoto
- La capanna di Anish Kapoor
- L’uomo di ghiaccio di Baku Maeda
- Sculture “Made in nature”