Le preparazioni erano legate ai prodotti del territorio, in particolare alla frutta fresca o secca. I “dolci” bergamaschi più antichi sono presumibilmente pà e öa (uva), pà e nus (noci), castagne bollite e poi affumicate (le cosiddette biligòcc), castagne secche (mundine), castagne peste, castagne bianche, caldarroste, boröle, la cotognata, le composte e le confetture di frutta addolcite con il miele ( mél). Ad inizio del Cinquecento, si confezionava la savonea, una sorta di confetti con mandorle e zenzero e la pignocata, confetti con pinoli. Lo zucchero era un eccellente mezzo per conservare la frutta mediante confetture e conserve. Abili confezionatrici di deliziose conserve, confetti ed elisir erano le monache Benedettine di Santa Grata in Columnellis.
Una descrizione completa dei migliori dolci confezionati nel 1720 nei diversi monasteri di Bergamo città è fornita da Giovanni Battista Angelini nel suo «Per darti notizie del paese, descrizione di Bergamo in terza rima»: «Ogni chiostro distinguesi coll’arti / Uno dall’altro; così voglio ancora / Le dolci cose sue d’ognun narrarti». Segue un elenco dettagliato con indicati i conventi o monasteri con cui venivano confezionati i dolci: «schiacciate, sfogliati, cannoncelli e frali, lattimel per imboccar la spuma, sbattuto, fìor di sfoglie, torchionate, fogliate dalle monache Orsoline, foccacine, fìadoni, confetti, figurati, e fettine e mustaccioni, torte di pasta frale, marzapani, e calicioni, pane di Spagna da intingere nel moscado». In un libretto databile tra il 1775 ed il 1800, risulta che confezionavano inoltre codognata (cotognata), essini (biscotti), offelle, bracciadelli (attuali brasadèi), rampini, apostole, mostaccini (anche detti mostassì).
Attorno al XVII secolo andrebbe collocata una ricetta in uso nella bergamasca che si potrebbe definire di transizione tra l’epoca di sintesi dei sapori ed il periodo successivo: maiassa, smaiassa, ma-àsa o meàsa, leadèl, «preparata con farina di granoturco, sciolta in acqua o nel “lac – penàc”, il latticello residuo della produzione del burro, con l’aggiunta di un cucchiaio di zucchero, qualche fico secco a pezzetti, in qualche caso una mela tagliata a fettine. L’impasto veniva cotto nella padella in cui si era fatto soffriggere un poco di lardo o di burro con una cipolla tritata. Doveva cuocere due o tre ore, lentamente con la brace posta sotto il treppiede ed anche sopra il pesante coperchio di ferro (test) comunemente usato per la cottura delle torte sul camino». Questa torta, in questa versione antica, ha mescolati i sapori dolce del fico, salato del lardo ed acido della cipolla, caratteristici del periodo medioevale, ma prevede anche l’utilizzo della farina di mais conosciuta nella bergamasca nel XVII secolo.
Il definitivo tramonto della cucina di sintesi avvenne in Francia tra il XVII ed il XVIII secolo. Fu una piccola rivoluzione gastronomica: non più mescolati, i singoli sapori dovevano avere un proprio spazio indipendente, nelle vivande che nell’ordine del pasto. Si iniziarono a distinguere quasi sempre i piatti dolci da quelli salati e le professioni di credenziere di cucina, pasticcere e confetturiere, già presenti in alcune cucine di corte, iniziarono a differenziarsi da quella del cuoco.
Le testimonianze scritte sui dolci bergamaschi si moltiplicano nei secoli seguenti. Troviamo: mandolato in scatole, mostazzoni e mostazzoni gelati (con glassa sopra), pasta di marzapano, mandolato negro (col cioccolato) e mostasini; bignè, torte sfogliate e fiadoni del Cocho bergamasco alla casalenga (anonimo cuoco bergamasco di fine Settecento). Con il passare del tempo ed il calare del prezzo dello zucchero, il commercio dei dolciumi si era sviluppato, oltre che dai prestinai (mugnai) e dai fornai (panettieri), anche in appositi locali e nelle piazze. Tra le carte dell’Archivio Calepio è conservata, per esempio, una Notta del 1788 «de generi che si vendono da Monti e Bianchino in Bergamo nella contrada di Corsarola in città al Caffè detto Piemontese».
La grande importanza ai dolci nella Bergamasca si desume anche dal «Trattato di cucina semplice per conservar lo stomaco» del 1878 del cuoco bergamasco Riva che dedica gli ultimi quattro capitoli a ben 60 ricette di dolci. Nel corso del XIX secolo, la gastronomia francese divenne modello da imitare che, riformulato con derrate autoctone, influenzò anche i «Diari di cucina» delle famiglie bergamasche ma, accanto alle novità, permangono in questi testi molte ricette di dolci della tradizione anche popolare e numerose ricette di liquori.
Se si vuole fare un rapido volo tra le pagine di questi manoscritti di casa risulta un elenco eclettico e vario del consumo di dolci nel quotidiano di quelle famiglie: pasticcio di castagne, torta dolce di farina gialla, torta fredda, torta Colleoni con mandorle e pere, torta di pesche, torta di noci, nocino, rosolio, frittelle, gàle o salta sö, gelatina di pomi e pere, di pesche, croccante, biscotti polentini, biscotti Lecherli, dolce per il giorno di Sant’Anna con patate e uvette, peschino, gelati vari, stracchino inglese o stracchino gelato, pastine gialle, pane dei morti, charlotte di pere o mele, zuppa inglese, zabaglione e ressömada, timballi di mandorle, tortelli dolci, budini, frittura di pane, flan di ricotta e panna, conserve e sciroppi, torta alla Marinoni, dolce Giannino, torta di patate, pane dei morti, biscotto di cioccolato, vov, gallè di ciliegie, marmellata di rabarbaro, persicata, dolce a buon mercato, torta ordinaria, specie di panettone, panettone con chiare d’uova, torta di mele, budino di riso e frutta, sciroppo di Sambuco, frittelle di mele, fritule di fichi secchi o frutta passita, crocant, montagne rasgu (dolce di castagne), pesche ripiene, pesche appetenti, torta di frutta, biscottini, conserva di marasche, frittura dolce, elisir di Anna, persichino, maraschino, rosolio, sciampagn e frittura di latte. E infine anche dei dolci al cucchiaio: mezzo gelo, gelo a tre colori, pasticcio alla crema, latte alla crema, crema vaniglia, stracchini dolci, stracchini gelati, palle di neve.
Anche le guide nazionali elogiavano la produzione dolciaria bergamasca, il Touring club italiano nella prima «Guida gastronomica d’Italia» del 1931 consiglia tra i dolci bergamaschi le frittelle e le gàle . L’elenco dei dolci tipici bergamaschi è assai lungo: oltre ai biscotti, ai confetti, i bumbunér ed anche i festér, i venditori ambulanti confezionavano varie preparazioni così golose che si diceva «l’è ü bumbù» anche per indicare un gioiello. Inoltre, amor polenta, animète, anisì, baci, bignè, biscotto (biscotti di San Pellegrino, biscotti di mais, biscotti di Clusone, Rovettelli, colombine, bocù, amaretti, ossi duri, brasadei, meini bergamaschi, pastine bergamasche, fave dei morti), brassadèl, briosso, brutti ma buoni, budino, bussolà, chesciöla, cruca, confetti, diaolù, fiadù, frittelle, dolce al miele, pane (con uva, fichi, noci, mele), polenta e osèi, polentine, spongada dè Solt, Turta del Donizèt, Turta de Trèi, la torta di Sant’Alessandro e anche la stracciatella e le veneziane all’albicocca, oltre al «Riccio del Parco dei Colli».
Su tre ricette di tre dolci bergamaschi del XX secolo è intervenuta con lungimiranza la Camera di Commercio di Bergamo creando degli apposti disciplinari inseriti nel Marchio di garanzia e qualità «BERGAMO, Città dei Mille… sapori». Si tratta di: Polenta e osèi, Turta del Donizèt, Turta de Treì. Possono essere prodotti solo dalle aziende a cui è concesso l’uso del marchio da parte della camera e che si sottopongono alla verifica periodica di un ente certificatore.
Polenta e osèi
Ha oltre 100 anni questo squisito dolce ideato da Alessio Amadeo nel febbraio 1910 nella sua «Pasticceria Milanese» che si trovava a Bergamo sull’attuale Viale Papa Giovanni XXIII, 52. Amadeo si ispirò a quello che un tempo era il piatto tipico della domenica. Realizzò anche una “carta di identità” in carta nero-azzurra anticipando, da grande tifoso, quelli che sarebbero diventati del 1919 i colori dell’Atalanta, la squadra del cuore per i bergamaschi. Strati di Pan di Spagna si alternano alla crema di cioccolato e nocciola costruendo una cupola ricoperta di marzapane giallo su cui troneggiano gli uccellini di cioccolato. Un dolce di bontà infinita.
Turta del Donizèt
Pochi ingredienti di grande qualità compongono questo dolce commemorativo del grande compositore e operista bergamasco Gaetano Donizetti.
Venne ideata dal mitico pasticcere Alessandro Balzer in occasione del centenario della morte di Donizetti, nel 1948. È un anello cosparso di zucchero a velo confezionato con burro, zucchero, uova, farina, fecola e albicocche e ananas canditi. Canditi? Certo, Bergamo già nel Cinquecento era famosa per questa produzione.
Turta de Treì
Nel 1990, a Treviglio fu bandito un concorso fra i cittadini per scoprire un dolce che rappresentasse la città. Vinse un dolce semplice ma molto gustoso e profumato che richiamava le crostate con la frutta secca, tipiche della tradizione bergamasca. Su una base di frolla morbida è posta una farcia molto ricca a base di mandorle. Ha sapore molto equilibrato dove ben si amalgamano il sapore dolce alla piacevole e lieve nota amara data dalle mandorle e i profumi di limone e vaniglia.
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