Quando penso a un cuoco, spesso penso a una persona che, prima di darsi a questo mestiere, sia stata piuttosto indecisa su quale risvolto dare alla propria carriera. E vi spiego il perché. Da una parte ci vedo un artista, capace di mescolare una vasta palette di colori (gli ingredienti) su una tela bianca immacolata (il piatto). Dall’altra ci vedo un chimico, che combina diverse sostanze (le materie prime) studiandone attentamente la consistenza, porzionando le giuste dosi e lavorandole con passaggi meticolosi, per creare delle formule magiche. Ecco, questa forse non sarà la definizione di “cuoco” che trovate nello Zanichelli, ma sicuramente rappresenta bene la piega che ha preso la cucina negli ultimi anni. Sperimentazione, ricerca, tecnica sono le parole chiave di questo settore, che si traducono in menù studiati e coraggiosi. Menù che si fanno sempre più audaci quando, tra le diverse tecniche di lavorazione e di cottura degli alimenti, si gioca con la fermentazione.
Cos’è la fermentazione
Kefir, kombucha, tempeh, koji, kimchi: cosa hanno in comune queste pietanze dal nome così “esotico”? Sono prodotte grazie alla fermentazione, un’antichissima tecnica di conservazione del cibo che negli ultimi anni è tornata a popolare – anzi, a spopolare – nelle cucine di tutto il mondo.
Il termine “fermentazione” indica il processo di conversione dei carboidrati in alcol e anidride carbonica, oppure in acidi organici, attraverso l’azione di batteri, lieviti e muffe. Se rileggete con attenzione la definizione, capirete che questo processo, oltre ad essere sempre più presente nella cucina contemporanea, è anche parte della nostra quotidianità. Lo yogurt e la birra sono infatti sottoposti a fermentazione, ci avete mai pensato?
Perché fermentare piace così tanto?
La fermentazione è in grado di assicurare una buona conservazione di un alimento. Nel processo si attivano microrganismi che impediscono il proliferare di batteri nocivi, e che quindi evitano il deperimento dell’ingrediente. In poche parole, maggiore durata della materia prima e meno spreco.
Ma non solo. I microrganismi viventi rinforzano la flora intestinale e trasformano zuccheri in proteine, digerendo una parte di queste sostanze. Per questo, un alimento fermentato è anche più facilmente digeribile.
Infine, è una questione di gusto. La fermentazione conferisce agli alimenti un sapore unico: acidulo, fresco, a tratti pungente. Sapore che molti chef introducono nei loro piatti per bilanciare con le note sapide, amare, dolci e per alleggerire le consistenze grasse.
La storia della fermentazione
C’è chi dice che la storia della fermentazione sia antica come il mondo. Pare infatti che le prime testimonianze di questa tecnica di lavorazione risalgono a circa 12mila anni fa!
Al tempo, si produceva l’idromele grazie alla fermentazione del miele – che contiene lieviti “dormienti” – in acqua, che ha la funzione di catalizzatore. Una bevanda sacra agli dei di diverse culture, a cui seguì l’invenzione di birra e vino, entrambi prodotti grazie ad un processo di fermentazione.
Ciò che per secoli era considerato un procedimento chimico, si dimostrò invece un processo biologico grazie alle scoperte di Louis Pasteur, chimico francese (noto per la pastorizzazione), nella seconda metà dell’Ottocento.
E oggi? Chiaramente, fermentare non è più fondamentale per la conservazione degli ingredienti, grazie alla vasta disponibilità di frigoriferi e congelatori e ai processi di sterilizzazione che consentono di mantenere i prodotti freschi più a lungo. Resta dunque un “gioco” per molti cuochi, che scelgono di divertirsi, con tecnica e un po’ di coraggio, a proporre sempre qualcosa di innovativo ai propri clienti.
I grandi nomi della fermentazione
Negli ultimi anni alcuni famosi chef hanno scelto di sperimentare con la fermentazione, un po’ per moda e un po’ perché affascinati da ciò che si può ottenere da questa antica tecnica. Uno su tutti è René Redzepi, a capo della cucina del Ristorante Noma di Copenaghen, insegna fresca del riconoscimento di 3 stelle Michelin nella Guida 2022 e premiato come “Miglior ristorante al mondo” secondo la prestigiosa classifica The World’s 50 Best Restaurants. Un locale che ha fatto della sperimentazione la sua firma: pensate che qui lavorano oltre 100 cuochi, divisi tra la Test kitchen, dove prendono vita le idee per nuovi piatti e abbinamenti, la cucina del ristorante vera e propria e il Fermentation Lab, laboratorio che ha l’obiettivo di raggiungere la perfezione nelle tecniche.
Ma anche l’Italia ha i suoi fermentatori. Se volete assaggiare qualche chicca culinaria, preparata da cuochi che amano sperimentare con questa tecnica, vi consiglio tre indirizzi in Lombardia che ho avuto personalmente il piacere di assaggiare. Se vi va una gita fuori porta, organizzate una tappa a
La Madia a Brione (BS), una trattoria che si fa portavoce del “manifesto di cucina viva” - come ama definirla lo chef Michele Valotti. Piatti della tradizione rivisitati e rinnovati con elementi fermentati che, nel tempo, hanno saputo conquistare i palati anche più “tradizionalisti”. Vi consiglio poi 28 posti a Milano (zona Navigli), dove chef Marco Ambrosino, forte anche di un breve passaggio nelle cucine del Noma, racconta la sua interpretazione della cucina contemporanea, con fermentazioni mai troppo spinte e abbinamenti creativi. Infine, Materia a Cernobbio, sulle rive del lago di Como. Qui un giovanissimo chef, Davide Caranchini, premiato con 1 stella Michelin, offre un viaggio fatto di emozioni e profumi, con piatti per nulla scontati e un audace utilizzo dei garum, antica salsa fermentata a base di interiora di pesce.
E a casa nostra? Anche a Bergamo qualcosa si muove. Se volete farvi un’idea, e magari cimentarvi nella preparazione di un piatto con elementi fermentati, potete leggere la ricetta delle Lasagne al Kimchi della Trattoria Brosetti che abbiamo pubblicato qui su Eppen.
Buona fermentazione e buon appetito!