Quando si parla di migrazione ai giorni nostri, lo si fa spesso con un’accezione negativa, che tende alla percezione comune, quasi fosse un problema, una minaccia non tanto reale quanto percepita, rispetto alla propria cultura, ai propri modi e alla propria gastronomia.
Il cibo è infatti appartenenza, simbolo di cultura, attaccamento alle origini. Per questo diventa spesso motivo di scontro, di scherno, in nome di una parola che in realtà ha il significato opposto rispetto alla comune sentire: tradizione. Usi e costumi sono necessariamente oggetto di cambiamenti, evoluzione, creatività. È soprattutto quest’ultima che stimola quel processo di fusione culturale tra i diversi usi, che permette alla tradizione stessa di sopravvivere ai giorni nostri e in futuro.
Quella bergamasca è una terra che ha sempre accolto, ricca di umanità che provengono da fuori regione e da oltre i confini nazionali. Ci sono persone che sono arrivate a Bergamo per caso e qui hanno costruito il loro futuro e una famiglia ormai molti decenni fa. Sto parlando di chi, dalle regioni del sud, partiva alla volta del nord con grandi speranze e ambizioni, portando con sé un bagaglio di conoscenze. È il caso di Giovanna, che ancora molto giovane abbandona la Sicilia con il padre, per raggiungere i parenti in Piemonte. La sua storia si intreccia con quella di Salvatore, professore di matematica che grazie alle prime supplenze arriva in bergamasca e, dal 1977, si stabilisce a Grumello del Monte.
Giovanna è una cuoca di casa, una di quelle che spinte dalla profonda passione e dalla cura per quello che fanno è in grado di passare intere giornate a cucinare. Rigorosamente piatti della “sua” Sicilia che per esperienze legate alla famiglia di origine hanno anche un’ispirazione in parte napoletana. L’approccio isolano di Giovanna alla cucina non si deve ad un’incapacità di proporre ricette diverse. Ogni buona cuoca casalinga è predisposta a preparare qualsiasi pietanza gli venga sottoposta. Tuttavia la cucina è narrazione vera di una parte di sé, della propria storia e del modo di essere. Cucinare per gli altri e condividerne i segreti è voler regalare una parte intima della propria identità.
Giovanna ha deciso di condividere con me la preparazione dei suoi arancini, ecco la ricetta con tutte le indicazioni per prepararli al meglio.
Gli ingredienti
Per la preparazione degli arancini è necessario avere riso, ragù di carne, piselli freschi o congelati, formaggio filante a cubetti, formaggio grattugiato, burro, uovo, pan grattato e olio di arachidi per friggere.
Il riso e la cottura
Si parte con la scelta del riso giusto, non usare il Carnaroli. Serve un riso che rilasci amido e si “spappoli” facilmente – in altre parole che non tenga la cottura. Meglio scegliere allora il riso della varietà Roma. Lo si deve cuocere in poca acqua (tipo pilaf), una quantità di mezzo per circa 300 g di riso. Se manca, è sempre possibile aggiunge acqua bollente in un momento successivo, ma sempre poco alla volta. Pochi minuti prima della fine della cottura, aggiungere al riso uno o due cucchiai di sugo di carne per dare colore (colandolo). Una volta pronto, condire con abbondante burro, formaggio grattugiato e pepe. Vanno quindi versati il riso e il ragù su un largo vassoio per farli raffreddare.
Assemblare e cuocere gli arancini
Questa è la parte divertente che richiede molta manualità. Bisogna mettere sul palmo della mano una manciata di riso e appiattirlo. Al centro del “dischetto” di riso va appoggiato un poco di ragù, qualche pisello (dopo averli cotti in acqua bollente) e un cubetto di formaggio. Quindi il composto deve essere chiuso come fosse una polpetta, compattandolo a forma di palla o di piramide dal profilo arrotondato. Quindi è necessario passare la polpetta nell’uovo e poi nel pane grattugiato. In una padella capiente e dai bordi alti, mettere a scaldare abbondante olio di arachidi. È importante che sia ben caldo. Tuffare gli arancini e cuocerli fino a doratura completa della parte esterna, per poi servirli ben caldi. Una ricetta gustosa che racconta la storia di Giovanna.
(foto di Lara Abrati)