“Una volta ho visto dalla balaustra del ponte scoperto, molto più in basso e a destra della coda della carena, una cosa che mi è sembrata essere la pinna di uno squalo, mimetizzata nella scia del motore di dritta, violenta come le cascate del Niagara. Ho sentito – e non ho parole per descriverla – una musichetta da ascensore in versione reggae. Ho capito cosa significa avere paura del proprio water. Ho imparato ad avere il ‘piede marino’ e ora mi piacerebbe perderlo. Ho assaggiato il caviale e mi sono trovato d’accordo con il giudizio del bambino che mi sedeva accanto: fa schifo. Ora ho capito bene cosa significa duty free. Ora conosco la velocità massima in nodi di una nave da crociera. Ho mangiato escargot, anatra, salmone affumicato dell’Alaska, salmone con finocchi, pellicano al marzapane e un’omelette fatta con quelle che venivano definite ‘tracce di tartufo etrusco’. Ho sentito persone sedute sulle sdraio sul ponte dire che non è tanto il caldo, ma l’umidità. Sono stato – completamente, professionalmente e come mi era stato promesso – viziato”.
Nel 1995 la rivista Harper’s Magazine incarica David Foster Wallace di scrivere il reportage di una settimana su una crociera extralusso americana, la Nadir, detta anche “7 Notti ai Caraibi” (7NC), per raccontare cosa succede in questo luogo-non-luogo che può essere considerato la quintessenza dello spirito dell’americano medio (magari arricchito). Wallace (o meglio Jason Segel che lo interpreta) nel film “The End of the Tour” afferma di essere “malato di vita americana”: scrive il reportage, che poi diventa “Una cosa divertente che non farò mai più”, uscito in America nel 1996 e in Italia nel 1998 per Minimum Fax.
È forse il libro più conosciuto di Wallace insieme a “Infinite Jest”, che però è un’opera complessa, labirintica, dove c’è tutto lo stile e la visione dello scrittore americano, note chilometriche comprese, una delle caratteristiche del nostro. Le note a piè di pagina, lunghissime e a volte autoreferenziali, non mancano nemmeno in “Una cosa divertente che non farò mai più”, che però è un libro semplice, divertente, ma anche tragico. Ed entomologico, che è una delle caratteristiche più belle e importanti di Wallace, ovvero la capacità di estrarre un mondo intero da un dettaglio, grazie alla sua agilità mentale, a una cultura immensa e proteiforme e alla curiosità intellettuale per tutto ciò che in qualche modo è pop, evitando qualsiasi separazione fra alto e basso.
In una crociera extralusso la morte non c’è
Com’è facile immaginare, Wallace sulla 7NC era un corpo estraneo (“a bordo della Nadir […] io mi sentivo disperato”). Un semi-agorafobico dentro la megalomania di una realtà radicalmente americana (nel senso spiegato da Jean Baudrillard in “America” del 1986), dove la megalomania, il lusso, l’atteggiamento servizievole del personale e ogni interstizio in cui lui infilava il dito – svelando l’universo della cosiddetta ipermodernità, come l’avrebbe chiamata Lipovetsky, che si manifestava in mezzo al mare – cancellavano ogni idea di fatica, dolore, in ultimo morte, che è poi lo zeitgeist estremizzato del nostro contemporaneo. Wallace sembra dirci che su una crociera extralusso (o in un grande e moderno centro commerciale, aggiungo io) ogni negativo è abolito e la morte non c’è. Ma paradossalmente propone tra le righe una visione “uterina”, senza pericoli, in cui lui stesso a volte sembra “immergersi”, come nelle parole che chiudono questo articolo.
Ma cosa mangiava Wallace sulla crociera 7NC? La citazione iniziale racconta di “escargot, anatra, salmone affumicato dell’Alaska, salmone con finocchi, pellicano al marzapane e un’omelette fatta con quelle che venivano definite ‘tracce di tartufo etrusco’”. Lasciando perdere il pellicano al marzapane (pietanza che ricorda la cena trimalcioniana del “Satyricon” di Petronio), ci concentreremo sul salmone con crema di patate e insalata di finocchi e sull’omelette al tartufo, due dei cibi più succulenti.
Salmone con crema di patate e insalata di finocchi
Wallace, da buon agorafobico, si faceva portare spesso il cibo (molto cibo) in camera, la 1009 della Nadir. Qualche volta però andava a rifocillarsi in uno dei tanti ristoranti della nave, fra cui il “Ristorante caravelle a cinque stelle” (tutti lo chiamano sempre così). È la sala da pranzo più elegante della crociera, dove nelle ultime pagine del libro parteciperà alla cena di gala d’addio senza smoking (non avendolo portato in valigia) ma con una giacca di lana “da funerale”, sudaticcia perché indossata già all’imbarco. Dettagli a parte, ecco come preparare il salmone con crema di patate e insalata di finocchi.
Servono 300 gr di filetto di salmone; 30 gr di pane grattugiato; origano e prezzemolo quanto basta; 20 gr di grana grattugiato; metà scalogno; brodo vegetale quanto basta; olio extravergine di oliva quanto basta; 100 gr di patate bianche; 40 gr di finocchi e il sale quanto basta.
Togliete le spine e la pelle del salmone, poi tagliatelo in pezzi a forma di cubo di uguale grandezza (non conta che i cubi siano uguali uguali, purché li facciate in pezzi). Soffriggete lo scalogno tritato con poco olio, aggiungete le patate a pezzi e un po’ di brodo, lasciando cuocere il tutto. La panatura viene fatta con il pane grattugiato, il grana, l’origano, il prezzemolo tritato e un pizzico di sale. Mettete a cuocere in forno a 180 gradi per cinque minuti il salmone, dopo averlo impanato. Quindi tagliate i finocchi alla julienne, frullate le patate che avete fatto cuocere aggiungendo un po’ di olio, fino ad ottenere un’emulsione morbida e omogenea. A questo punto stendete l’emulsione sul piatto, mettete sopra i pezzi di salmone ed ornate con i finocchi. Non sarà come la portata del “Ristorante caravelle a cinque stelle”, ma farete la vostra figura. E ricorderete David Foster Wallace.
Omelette al tartufo
L’omelette è un piatto abbastanza semplice. Farla bene è un’arte che si impara tentativo dopo tentativo. Ingredienti: 4 uova, 20 gr di tartufo (o l’olio al tartufo se volete risparmiare), 1 cucchiaio di olio extravergine di oliva e sale quanto basta. L’omelette, a differenza della frittata (che si deve voltare, altro che non voltare la frittata) si piega e questo facilita le cose. Forse.
Comunque sbattete le uova, aggiungete un pizzico di sale, mettete poco olio extravergine di oliva in una pentola e lasciate che si riscaldi. Intanto tagliate finemente il tartufo, versate nella padella l’uovo sbattuto e quando si rapprende spargete metà della superficie di scaglie di tartufo, poi ripiegate e lasciate cuocere. La ricetta dell’omelette al tartufo non vi ha convinto e preferite una più classica omelette prosciutto e formaggio? Come darvi torto ma al “Ristorante caravelle a cinque stelle” sulla Nadir 7nc la servono così.
“Quanto tempo è che non fate Assolutamente Niente? Per quanto riguarda me, lo so con precisione. So con precisione quanto tempo è passato dall’ultima volta che ogni mio bisogno è stato esaudito senza possibilità di scelta da qualche forza esterna, senza che dovessi farne richiesta o addirittura ammettere di avere alcun bisogno. E anche quella volta galleggiavo nell’acqua, in un liquido salato, e caldo, ma poi nemmeno troppo – e se per caso ero cosciente, sono sicuro che non avevo paura e che mi stavo divertendo un sacco e che avrei spedito cartoline dicendo a chiunque ‘vorrei che fossi qui’”.
Il 12 settembre 2008, a Claremont, in California, a 46 anni, David Foster Wallace morirà suicida. Il corpo fu scoperto dalla moglie, Karen Green.
(grazie a “Menù letterari” di Céline Girard per le ricette)