Nella bergamasca l’arrivo del mais, attorno al 1620, ha mutato le abitudini alimentari. Il piatto locale più comune era la polt , una polentina molto morbida di farina di farro derivante dalla puls , impasto di farina di fave, farro, orzo, miglio, castagne o altri semi. Il mais era chiamato «granoturco» perché era scaricato nel porto di Venezia dalle navi provenienti dalla Turchia che avevano prima costeggiato la sponda africana del Mediterraneo. Forse venne chiamato così perché in quel periodo storico a tutte le merci “strane” veniva dato l’appellativo di «turche».
In Europa lo si trattò come un normale cereale e, quindi, si iniziò a macinare con i mulini, sconosciuti dalle popolazioni americane. La sua coltivazione venne a lungo osteggiata dai proprietari terrieri perché, avendo rese molto alte, veniva venduta a un prezzo basso ed era perciò poco redditizia. In seguito alle varie carestie, alla peste e ai cambiamenti climatici, dopo il 1675 la coltivazione del mais si diffuse rapidamente comportando il rapidissimo declino dei cereali minori. La polt iniziò a essere fatta con acqua o latticello e farina di mais con una consistenza più dura, simile alla polenta attuale che nella bergamasca è appunto piuttosto dura.
La farina integrale e bramata
La Camera di Commercio di Bergamo ha creato un apposito disciplinare per la farina integrale e bramata che fa parte del marchio di garanzia e qualità «BERGAMO, Città dei Mille… sapori». Un disciplinare con regole ben precise: la coltivazione sia di determinate varietà di mais sia la produzione della farina devono avvenire in territorio bergamasco e quest’ultima deve essere macinata a grana grossa, bramata appunto, e non abburattata, cioè integrale e, quindi, completa della parte più preziosa che è il germe, spesso utilizzato per fare l’olio di mais. Con il suo bel colore giallo oro screziato di marrone, rosso o amaranto, il mais è l’oro del territorio bergamasco dove viene coltivato in diverse varietà.
Con il passare del tempo, la polenta bergamasca non è stata più un’imposizione alimentare, ma è diventata scelta e rito domenicale. Ora che non è più l’Ottocento, quando in Bergamo esistevano i «polentari» che vendevano porzioni di polenta scodellate dalla finestra (tipo asporto), ci sono i “degustatori di polenta” che ne analizzano tutti gli aspetti sensoriali. Dopo almeno cinquanta minuti di cottura, mescolata con il bastone, il classico tarèl, la polenta bergamasca ha una consistenza dura tanto da restare in piedi sull’asse quando la si versa dal paiolo ed è di colore giallo oro con pagliuzze rosse, arancio e marroni, a seconda della varietà. Il profumo è intenso, di crosta di pane appena sfornato.
Unico produttore a cui è stato concesso il marchio camerale e l’utilizzo del nome «Farina integrale e bramata della Bergamasca» è l’Azienda Agricola Bonzi Bruno a Carvico in via Marconi, 41. È una piccola azienda nata per la passione che nonno Giuseppe ha trasmesso a Bruno. Bruno, pur svolgendo un altro mestiere “incravattato”, si dedica alla coltivazione di tre qualità di mais: rostrato di Rovetta, spinato di Gandino e nostrano dell’Isola. Con l’aiuto della moglie Monica e dei figli Federico, Andrea e Alberto, riesce a produrre una farina, macinata a pietra in piccole quantità per volta, di grande intensità e fragranza gustativa. Confeziona anche gallette, triangolini e biscotti molto apprezzati dagli avventori di diversi ristoranti della bergamasca. Coltiva anche grano tenero e duro con la cui farina confeziona squisiti grissini.
La scarola di Bergamo
Un altro prodotto tutelato dal marchio «BERGAMO, Città dei Mille… sapori» è la scarola di Bergamo. Si tratta di una varietà di cicoria coltivata da secoli su piccoli appezzamenti di terreno che circondano le mura della Città Alta di Bergamo. Attualmente, la coltivazione della pianta si è diffusa anche in altri terreni della bergamasca. Le piantine, allevate in vivaio, devono essere messe a dimora nel periodo compreso tra il 20 luglio ed il 20 settembre. La raccolta rigorosamente manuale inizia a novembre inoltrato e dura fino a fine febbraio. La fase dell’imbiancamento può avvenire in campo coprendo i cespi eretti con un telo di plastica sul quale viene posto uno strato di paglia dello spessore di 4-6 cm, coperto a sua volta da un telo di plastica, oppure in una cantina buia. In entrambi i casi, la scarola viene lasciata così protetta per 7-12 giorni fino a quando il cespo dalle foglie esterne ondulate e verdi chiare diviene al cuore più chiaro. Questo particolare processo di imbiancamento dona a questa insalata croccantezza e fragranza.
La scarola di Bergamo è eccellente cruda, ma i cuochi bergamaschi la propongono anche stufata con la salamella e accompagnata alla polenta, oppure come ingrediente croccante a completamento di condimenti a base di formaggio per gnocchi e lasagne oppure nelle crespelle o a finitura di risotti o nelle torte salate.
La ricetta
Con gli “scarti” di questi due ingredienti del marchio «BERGAMO, Città dei Mille… sapori», il grande chef Diego Pavesi ha creato una ricetta che vi proponiamo e che potrete assaporare presso il Ristorante Della Torre a Trescore Balneario dove da sei generazioni la famiglia Pavesi propone la sua eccellente cucina di territorio nelle belle sale sotto la torre trecentesca.
SFORMATINO DI MAIS CON SCAROLA DEI COLLI
Chef Diego Pavesi, Ristorante Della Torre, Trescore Balneario (BG)
Ingredienti per 4 persone: 350 g polenta fredda, 20 g burro, 1 scalogno, 1 uovo, 1 tuorlo, 100 g latte, 50 g panna, 50 g grana padano Dop, noce moscata, 80 g erborinato bergamasco, 1 scarola dei colli di Bergamo, 50 g zucchero di canna, 25 g burro, 25 g aceto aromatico e sale.
Rosolare con il burro e lo scalogno la polenta disfacendola. Aggiungere il latte per facilitare l’operazione. Frullare il tutto e aggiungervi uovo, tuorlo, panna, grana padano, noce moscata; salare e pepare.
Imburrare e infarinare degli stampini monodose, appoggiarli su una teglia da forno e riempirli con il composto preparato in precedenza. Tagliare l’erborinato bergamasco in 4 cubetti e inserirli all’interno dei quattro tortini, premendo in modo da farli leggermente affondare. Porre in forno a 170° per 12 minuti. Pulire la radice della scarola con un coltellino, lavarla e ricavarne 8 spicchi partendo dalla radice fino alla cima delle foglie. Tenere per la decorazione 4 belle foglie. In una padella bassa antiaderente d’alluminio far sciogliere a fuoco basso lo zucchero. Aggiungere la scarola tagliata e l’aceto; salare, pepare coprire la padella e cuocere a fuoco basso per 5 minuti. Togliere il coperchio e lasciare evaporare i liquidi. Spostare dal fuoco e tenere in caldo. Servire lo sformatino con la scarola cotta e con una foglia fresca.