Mi piace definirmi food writer, che in soldoni significa “colei che scrive di cibo”. La cucina e le parole sono nel mio quotidiano ormai da anni. Mangio, scrivo e parlo di cibo praticamente con chiunque.
La cucina ha un linguaggio a sé, proprio come ogni arte, perché come dice lo chef 3 stelle Michelin Heinz Beck, «cucina non è mangiare. È molto, molto di più. Cucina è poesia». Per questo, oggi vorrei condividere con voi alcuni termini poco conosciuti, ma che potrebbero tornarvi utili in diverse situazioni. Quasi a creare un piccolo dizionario enogastronomico da tenere sempre a portata di mano (anzi, di clic). Prendete appunti, partiamo.
Come la vedi questa alveolatura?
Per valutare la qualità di lievitazione e cottura di un impasto – del pane, della pizza, ma anche del panettone natalizio – si cercano gli alveoli. Sono quei classici “buchi” che si formano nella mollica e che si possono osservare al taglio.
Un’alveolatura uniforme, ben distribuita e con buchi che hanno pressappoco la stessa grandezza è sinonimo di un impasto a regola d’arte.
Divertimento assicurato con gli amuse-bouche
Stuzzicano l’appetito a tavola, in attesa della prima portata di un menù. Gli amuse-bouche (letteralmente “diverti-bocca”) sono pietanze di piccole dimensioni, da consumare in un sol boccone.
Vengono serviti senza ordinazione, a discrezione dello chef, e consistono in uno o più assaggini da gustare prima dell’antipasto.
Aspic fa rima con agée … o forse no?
Conoscere questo termine vi farà fare una gran bella figura, soprattutto se parlate con gli over 50. Scherzi a parte, si tratta di una parola che oggi fatichiamo a sentire perché è la stessa preparazione a non essere più in voga, se non in rari casi.
“Aspic” è una preparazione nata alla fine del 1800 che consiste nel racchiudere ingredienti vari – carne, pesce o verdure, ma anche uova o dolci – all’interno di uno scrigno di gelatina trasparente.
Ha avuto la sua fortuna negli anni ‘80, mentre oggi è talvolta riproposto in una versione contemporanea.
Buone maniere e metodo Charmat
Chiamato anche Martinotti, il metodo Charmat è un processo di spumantizzazione del vino che si completa con una rifermentazione in autoclavi di acciaio. In poche parole, è il passaggio cruciale che trasforma il vino fermo in bollicine.
Tipico del Prosecco, del Moscato e del Lambrusco, questo metodo di produzione si contrappone al Metodo Classico (usato ad esempio per lo Champagne), dove la rifermentazione avviene direttamente in bottiglia.
La crosta lavata dei formaggi
Si definiscono “a crosta lavata” quei prodotti caseari che hanno subito un trattamento durante il processo di maturazione che consiste nel lavare la parte esterna del formaggio con una soluzione di acqua e sale.
Questo passaggio permette lo sviluppo di una flora alofila (amante del sale), ovvero di migliaia di microrganismi che creano, nella parte esterna del formaggio, una sottile patina leggermente vischiosa. Questo processo aumenta la sapidità della pasta del formaggio e mantiene il corretto grado di umidità. Insomma, fa sì che il risultato sia ancora più buono. Tra i formaggi a crosta lavata ci sono la fontina DOP e il taleggio DOP.
Monsieur, lo vorrei alla maître d’hôtel
Questo è uno dei termini che gli inglesi definirebbero false friends . Sì, perché leggendolo si pensa subito ad un contesto alberghiero ed al responsabile di sala, con la sua elegante giacca bianca e il papillon.
E invece no. Si tratta di una preparazione di stampo francese pensata per accompagnare carni, pesci, salse. Un burro aromatizzato con prezzemolo tritato fine, succo di limone, sale e pepe. Praticamente, ci vuole meno tempo a prepararla che a imparare il corretto spelling.
Marezzatura, ma senza onde
Le piccole venature di grasso bianco che – come le onde nel mare – segnano la trama delle fibre di carne si definiscono «marezzatura». Tanto più la distribuzione del grasso è uniforme, quanto più la materia prima sarà di qualità.
Questa trama, che ricorda quella del marmo, è particolarmente visibile in varietà pregiate come il wagyu, di provenienza giapponese.
Dolci emozioni con i petit fours
Finita la cena, mangiato il dessert, finalmente arriva il caffè. Ma non è solo. Ad accompagnarlo, una serie di pasticcini in formato mignon . Quello che in italiano chiamiamo piccola pasticceria, nel linguaggio culinario è chiamato petit fours.
Biscotti, meringhe, macaron, cioccolatini e tartellette che accompagnano il momento del caffè e lo rendono ancora più dolce.
Umami, dal Giappone con… sapore
Termine giapponese che, letteralmente, significa «saporito». L’umami è tecnicamente, uno dei cinque gusti percepiti dalle nostre papille gustative – oltre al dolce, amaro, acido, sapido.
Il responsabile di questo particolare sapore venne identificato da Kikunae Ikeada, professore di chimica dell’Università Imperiale di Tokyo, nel 1908. È il glutammato monosodico (MSG), la forma più pura di umami che esista. Questo gusto è spesso associato a brodi e arrosti, oppure alla salsa di soia, al Parmigiano Reggiano. Si tratta di un gusto delizioso, completo e particolarmente gradevole al palato.
La verità è che potrei continuare per ore, con altri mille termini enogastronomici che chi è del mestiere mastica (oh, un gioco di parole!) quotidianamente. La seconda verità è che, se proseguiamo, non avreste il tempo necessario per digerirli (gioco di parole n.2).
Quindi, buono studio e buon appetito!