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Dal 1853 al 2049: il casoncello alla bergamasca come non l’avete mai assaggiato

Articolo. Siamo abituati a pensare che le tradizioni siano verità assolute e sempre uguali a sé stesse. Ma non è così: la tradizione è acculturazione, mutazione, integrazione. Due locali in provincia ce lo dimostrano reinterpretando il piatto principe della cucina bergamasca

Lettura 3 min.

Quando si parla di piatti popolari, spesso si assiste a lotte anche molto aggressive per determinare chi detiene la verità assoluta in merito a qualsiasi ricetta o preparazione. Liti e dibattiti assurdi, senza alcuna considerazione per quello che in realtà è la storia della gastronomia. Per comprendere al meglio il concetto di tradizione, è necessario fare un gioco molto semplice: pensare che sia esattamente il contrario di ciò che abbiamo creduto fino ad ora. La tradizione non è verità assoluta, non è un qualcosa di immobile e immutabile.

Sì, ma io ho sempre fatto così”: è la frase che spesso si sente gridare, a difesa della propria ricetta, quasi fosse l’unica al mondo corretta. La cucina tradizionale e alcune preparazioni sono giunte a noi perché ognuno, nel suo piccolo, ha portato avanti secondo modalità e stili diversi ricette che, probabilmente, furono ideate e inventate molto prima.

Al contrario di quanto si pensi, la tradizione è un concetto davvero moderno: abbiamo cominciato ad approcciarla in un certo modo grazie all’avvento della globalizzazione. L’obiettivo inconscio che ha fatto scattare la molla era la volontà di proteggere la grande diversità del nostro patrimonio gastronomico dalla standardizzazione.

Perché allora sentiamo la necessità di standardizzare ciò che abbiamo cercato di proteggere dallo stesso processo? Sia chiaro, non c’è nulla di male nel cercare di codificare ricette e preparazioni. Quando si cerca di costruire percorsi comuni di promozione territoriale diviene fondamentale. Ma non sarebbe bello se in questi percorsi venisse valorizzato il concetto di creatività invece che di verità? La creatività richiede messa in gioco, conoscenza, stimolo. La verità è talvolta imposizione inutile, fine a stessa, che crea scontro e non di certo incontro. La tradizione è sempre soggetta a mutamento, in relazione al periodo storico che si vive e alla società del momento.

Ecco che due chef bergamaschi hanno deciso di mettersi in gioco e provare a pensare a una versione nuova e creativa di uno dei piatti più amati dai bergamaschi: il casoncello. L’obiettivo non è certo dare risposte, ma forse porre domande.

Dal 2049 del casoncello del Rustikal

Oggi il tema della sostenibilità ambientale è centrale, anche quando si parla di enogastronomia. Utilizzare ingredienti locali, lavorati con tecniche antiche e aumentare la consapevolezza rispetto al consumo di carne sono focus importanti, su cui è necessario soffermarsi.

Siamo sicuri che le nostre scelte facciano bene all’ambiente, di scegliere con consapevolezza i prodotti che decidiamo di mettere sulla nostra tavola e che tali prodotti saranno disponibili in grande quantità per sempre?

Federico Colombini, chef del Rustikal di Sorisole, si è messo in gioco, interrogandosi su una questione banale: nel 2049 potremo ancora gustare il casoncello come l’abbiamo sempre fatto? Forse sì, forse no. Ma una delle soluzioni potrebbe essere il suo nuovo piatto: Casoncello 2049. Una ricetta preparata con ingredienti locali, per lo più di origine vegetale. “Un piatto che nasce da un lavoro di squadra – racconta Federico – scegliendo un nome che contiene una provocazione: abbiamo scelto una data molto vicina, per cercare di stimolare i nostri ospiti a un’educazione alimentare che tenga sempre più conto dei temi legati alla sostenibilità ambientale”.

Federico si definisce un conservatore di gusti, piatti e tecniche, per questo motivo il gioco è stato quello di sostituire alcuni ingredienti, per un risultato tutto da assaggiare. Si parte da una pasta fresca povera, preparata con pochissime uova. Il ripieno invece è un kimchi preparato nella versione non piccante, in linea quindi con le abitudini alimentari dei bergamaschi a cui la piccantezza non va proprio a genio.

Per chi non lo conoscesse, il kimchi è il piatto di casa della cucina coreana, di cui esistono infinite tipologie e varietà. Alla base della sua preparazione c’è il cavolo cinese (coltivato rigorosamente da un piccolo produttore bergamasco) che viene fatto fermentare con le pere, l’uvetta e le spezie tipiche del ripieno del casoncello. I ravioli vengono poi conditi con burro di malga, salvia fritta e un impasto a base di ceci fermentati, goji e miso di mais spinato di Gandino.

Il risultato? Il condimento è molto simile a quello con la pancetta e regala grassezza e rotondità, subito smorzate dall’acidità tipica del kimchi presente nel ripieno. Una ricetta nuova, non nella forma, ma negli ingredienti. Un piatto che diverte, ma allo stesso tempo in grado di stimolare alla riflessione ed educare alla scelta.

Sito Rustikal

Al 1853 con la ricetta della Trattoria Brosetti

Stesso percorso è stato intrapreso da Angelo Koyfalas che, nella sua moderna Trattoria Brosetti a Bergamo, si diverte a giocare con le materie prime, selezionandole e trattandole con grande competenza e cura, proponendo una cucina davvero unica e di grande livello. Lui ha deciso di fare un salto indietro nel tempo, proponendo Casoncello 1853 circa. “Casualmente, mi sono imbattuto in un ricettario storico – racconta Angelo – che riporta una ricetta dei casoncelli alla bergamasca preparati addirittura a partire dalla farina di semola”.

Il libro è “Nuovo cuoco milanese economico” di Giovanni Felice Luraschi e contiene la ricetta che prevede per il ripieno l’utilizzo di pane di semola, cedri canditi, amaretti, mandorle e pere spadone. Alla Trattoria Brosetti Casoncelli 1853 circa si prepara più o meno così: la pasta è a base di farina di semola e acqua, poi riempita da un impasto a base di pane preparato in loco a partire da lievito madre, che regala una fine parte acida e carattere, grazie anche alla crosta bella spessa e croccante. Poi vengono aggiunte le pere arrosto, che donano sapidità, gli amaretti fatti in casa, le mandorle dolci e un mix di spezie classico. Il composto viene poi cotto e legato con un uovo.

Il condimento è un’emulsione di burro nocciolato alla salvia con un po’ di vino bianco, per dare un tocco di eleganza. Per concludere, il piatto viene finito con della salvia moscatella, spennellata con il burro nocciolato e poi passata in forno, per un risultato davvero croccante, ma non bruciato.

Due diverse ricette, unite da un pensiero comune: la voglia di fare la differenza e dare un contributo attraverso una piccola provocazione.

Sito Trattoria Brosetti

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