«Non può, non deve capitare ad altri. La morte di mia figlia deve servire a tutte le persone e le famiglie che vivono un dramma di questo genere. Il dramma di vedere chi ami che piano piano si spegne, non ride più, non mangia o vomita. Non accetta di farsi curare e a te resta la sensazione di non aver fatto abbastanza. Lei non ce l’ha fatta, ma non ci devono essere altri figli che muoiono quando potevano essere salvati». Queste sono le parole di Stefano nella homepage dell’associazione Mi Nutro Di Vita , l’associazione che lui stesso ha deciso di fondare in memoria di sua figlia, affinché la prevenzione di questi disturbi sia sempre più forte.
Quello dei disturbi alimentari è un argomento delicatissimo, che spero di affrontare con tatto, senza giudizio e utilizzando le parole più delicate possibili. Con il mio lavoro mi sono avvicinata molto a questo ambito. Ho avuto la possibilità di fare un tirocinio durante l’Università e ho voluto approfondire l’argomento frequentando il reparto di «Disturbi alimentari e ansia» dell’Ospedale San Raffaele di Milano per più di otto mesi. Durante la mia esperienza, ho capito quanto le persone abbiano una percezione molto lontana da quello che questa “bestia” – perché sì, io la definisco proprio così – può fare. Per questo motivo, ci tengo con questo articolo ad avvicinarvi un po’ di più a questo mondo per comprenderlo al meglio.
«I Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione, anche detti semplicemente “Disturbi dell’alimentazione”, sono patologie complesse caratterizzate da un disfunzionale comportamento alimentare, un’eccessiva preoccupazione per il peso con alterata percezione dell’immagine corporea». Parto da questa definizione presa dal Ministero della Salute per spiegarvi cosa sono questi disturbi.
Iniziamo ad analizzare questa definizione, che inizia appunto dicendo che sono patologie molto complesse. Questo è un punto fondamentale per definirle. Avere un disturbo alimentare non è un capriccio, non è moda e non è controllabile. Non possiamo spegnerlo o accenderlo quando ci va.
Alcuni pensano che i disturbi alimentari siano strettamente legati al peso di una persona: in realtà c’è molto di più dietro. Nella definizione, infatti, possiamo notare come vengono interpellati anche un comportamentale disfunzionale verso il cibo e un’alterazione della propria immagine corporea.
Il peso è solo uno dei parametri di riconoscimento di un disturbo dell’alimentazione. Non esiste infatti solo l’anoressia come disturbo, ma il DSM 5, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, ne rileva ben sei: anoressia nervosa, bulimia nervosa, disturbo da alimentazione incontrollata (binge eating disorder), disturbo evitante-restrittivo dell’assunzione di cibo, picacismo e disturbo da ruminazione.
Ultimamente, sono emersi tanti altri disturbi che in realtà sono molto più presenti di quello che effettivamente si crede. Tra questi troviamo per esempio l’ortoressia, un’estrema ossessione per cibo sano oppure la vigoressia, una vera e propria ossessione per il fisico perfetto, o la drunkoressia, disturbo caratterizzato da una minima assunzione quotidiana di cibo, finalizzata ad una maggiore assunzione di alcolici.
Tutte le patologie si nascondono perfettamente all’interno della nostra società. Mangiare sano è giusto e anche fare attività fisica è giusto, quindi perché dovremmo preoccuparci? Questi disturbi si nascondono in modo particolare nelle palestre, proprio perché sono questi i luoghi dove il corpo diventa al centro della nostra attenzione. Lì, in particolare, si nasconde la vigoressia, una forma di dismorfofobia, ovvero un disturbo dell’immagine corporea, con continua e ossessiva preoccupazione per la propria massa muscolare. È proprio il contrario dell’anoressia. Se chi soffre di anoressia ha una dispercezione corporea e quindi si vede più grasso/a di quello che effettivamente è, nella vigoressia succede il contrario, quindi la persona (per la maggior parte dei casi parliamo di uomini) si vede più magra – o “secca” nel gergo della palestra – di quello che effettivamente è.
I primi tre disturbi elencati dal DSM5 sono i più comuni, mentre gli altri sono un po’ meno conosciuti. Quello che però è ancora meno conosciuto è il fatto che una persona può avere un disturbo dell’alimentazione senza essere in sottopeso. Come vi accennavo prima, il peso è solo uno dei tanti parametri che possono far capire la presenza di un disturbo.
Il punto principale di tutti i disturbi dell’alimentazione è un rapporto disturbato con il cibo.
Le cause possono essere molteplici e anche non derivare prettamente dall’ambito alimentare, per esempio un trauma o una condizione familiare. Non solo. Il problema dei disturbi alimentari è dovuto anche alla nostra società, che alimenta sempre di più questo circolo vizioso. La cultura della dieta da decenni ci fa credere appunto che meno mangiamo meglio è. Ci infila nella testa una vocina che ci dice che se fossimo più magre saremmo più brave e avremmo più successo. Pensiamoci bene a mente lucida. Il successo e la bravura di una persona non sono e non DEVONO essere legati al suo peso.
Apriamo un giornale e quello che vediamo sono solo modelle magre. Accendiamo la televisione e le presentatrici e le attrici sono tutte belle e magre. Tutti i modelli che ci vengono proposti ogni giorno hanno un corpo conforme alla società. Se non ce l’hanno, avranno dovuto sicuramente lavorare di più per “meritare” di avere quel determinato posto. Vi sembra corretto? Qualcuno mi potrebbe dire «eh vabbè, ma ormai ci sono anche tante modelle curvy». La mia risposta ogni volta è che non basta. Molte volte, le aziende utilizzano queste modelle come immagine di facciata, ma in negozio le taglie sono sempre e solo per corpi conformi. Taglie che vanno dalla XS alla XL, escludendo completamente chi ha una taglia di gran lunga superiore alla XL.
Parlo di questo perché anche da qui può nascere un disagio. Un disagio che può invadere anche l’aspetto alimentare e che porta una persona a intraprendere un circolo vizioso di diete, fatto di rinunce e tanti sensi di colpa. Vi racconto la storia di C., conosciuta nel mio periodo di tirocinio, che dopo aver ristretto la propria alimentazione per alcuni giorni si è ritrovata davanti a una vera e propria abbuffata, costituita da tanti barattoli di zabaione ingurgitati in pochi minuti. È stato solo l’inizio di un circolo che l’ha fatta sentire ancora più in colpa e l’ha fatta iniziare un’altra dieta e un’altra restrizione.
Diciamolo insieme: la nostra società è molto più grassofobica di quello che pensiamo. Lo stigma grassofobico è presente in ogni ambito della società: a scuola, al lavoro, in famiglia, ma anche nel mondo della sanità. Le persone grasse subiscono tutti i giorni discriminazioni e molte volte queste persone vengono associate a persone pigre, come se bastasse solo un po’ di forza di volontà per dimagrire.
La forza di volontà non c’entra per nulla. Il nostro peso è legato a tantissimi aspetti, non solo alimentari o legati al movimento, ma anche genetici, ambientali, sociali, economici. Cerchiamo di dire basta. Basta giudicare il corpo di una persona, sia in negativo che in positivo. E qui vi chiederete: perché non dovremmo fare un complimento a una persona se è dimagrita? Perché i commenti sui corpi non sono complimenti, sono solo commenti. Non sappiamo cosa sta passando quella persona e come ha perso quel peso. Può avere digiunato per arrivare fin lì, può aver fatto attività fisica estrema, può non essere felice e avere tanti sensi di colpa.
Facendo quel “complimento” al suo corpo non si farà altro che alimentare quella vocina nella testa che suggerisce «sei sulla buona strada, se continuerai a digiunare potrai essere più accettato dagli altri». Ci sono tantissimi altri complimenti che possiamo fare a una persona. Concentriamoci quelli, sono sicura che apprezzerà ancora di più.