Le immaginette vintage dell’angelo custode raffigurano bambini incauti che attraversano un ponte pericolante su scoscesi burroni, mentre l’angelo veglia su di loro e li protegge. Nessuno si è mai chiesto dove fosse la madre di quei bambini in pericolo: a filare la lana? Ad allattare un neonato? A fare la polenta? A dormire nel suo letto?
Quando queste deliziose immaginette furono disegnate, nessuno si sarebbe sognato di dire che, insomma, aveva voluto dei figli, ci badasse al meno. Anzi, scommetto che la madre – amorevole e destinata al patimento come vuole la tradizione – sarebbe stata vista come un’ulteriore vittima dell’incresciosa situazione in cui si erano ficcati i figlioletti (e, se proprio dobbiamo trovare un colpevole, propongo proprio loro: dannati monellacci che si allontanano senza permesso).
Abbandono di minore
Ora la madre sarebbe accusata di abbandono di minore e magari di omicidio colposo, se l’angelo non facesse il suo dovere. Direte: sì, ok, ma saranno passati almeno cent’anni da allora, non si possono fare confronti. La mortalità infantile era fuori controllo, oggi no, almeno in Italia. Vi propongo, allora, qualcosa di molto più vicino a noi, uno spot che ha fatto la storia della pubblicità italiana e ha meno dei miei anni.
Una bambina, che avrà non più 6 anni ma forse anche meno, perde lo scuolabus (se accadesse oggi: autista denunciato, licenziato, invocata la galera), attraversa da sola la città sotto la pioggia (avvertire, nell’ordine: la Protezione civile dato l’evidente stato di dissesto idrogeologico delle strade, le forze di Polizia per tutti i pericoli che l’innocente starà correndo, la pediatra per i malanni che sicuramente si è presa sotto l’acqua), raccoglie un gattino abbandonato (sarà di qualcuno? Avrà fatto le vaccinazioni? Avvisiamo l’Enpa) e lo porta a casa. Nel frattempo: la mamma continua a cucinare con un sorriso fesso stampato in faccia, anche se la figlia – che farà al massimo la prima elementare, ricordiamolo – è in clamoroso ritardo. Arriva il padre. Direte: almeno lui allerta i soccorsi, si attacca al telefono, esce a cercare la piccina? Ma no, butta un occhio all’orologio e alla finestra, la bimba sta tornando, la famiglia si riunisce felice e adotta il gattino. Happy end.
Per questo, ve lo giuro, io impazzisco quando ai genitori di oggi si rimprovera di essere “menefreghisti”. Menefreghisti noi? Ma magari. A volte vorrei tornare non dico nell’800, quando era nell’ordine delle cose che i nostri figli barcollassero su un dirupo mentre noi facevamo la calza, ma almeno negli anni ’80, quando era normale che i bambini tornassero a casa da scuola da soli, e non c’erano nemmeno i maledetti telefonini.
Noi genitori: responsabili del servizio di prevenzione e protezione
La verità è che oggi la sicurezza del bambino è uno dei tanti rami in cui il genitore deve specializzarsi, con una cura e una professionalità ben maggiore che se fosse l’RSPP di un’azienda quotata in borsa. È un modello che nessuno mette in discussione, pena venire etichettati come irresponsabili e inadatti al ruolo genitoriale. Non ci viene neanche in mente che in altre parti del mondo le cose possano funzionare, bene, in modo diverso.
Già solo sorvegliare i bambini non è sufficiente: siamo a distanza sufficientemente ravvicinata, pronti ad afferrarli qualora cascassero dallo scivolo, si infilassero la terra in bocca, mettessero le dita nella presa elettrica? Avevo un’amica che, quando le nacque il primo figlio, comprò un monitor, ma non per la notte (di notte il bambino dormiva nella stanza dei genitori, è più sicuro): per il giorno. Lei sfaccendava in cucina, lui dormiva nella sua camera, ma con la telecamerina lei poteva stare sicura che le copertine non gli coprissero il viso, rischiando di soffocarlo. No, non era esagerata, se pensate a quanto sono diffusi oggi i baby monitor per controllare il respiro dei neonati.
Anche il genitore medio, come me, che mai si sognerebbe di comprare un calzino in grado di monitorare i livelli di ossigeno nel sangue e i battiti del neonato (esiste), sa perfettamente che il bambino deve dormire sulla schiena, in un lettino senza paracolpi e senza pupazzi, ovvero tutto il contrario di come siamo cresciuti noi. Quando poi il bambino comincia a gattonare e tirarsi in piedi, ecco che i pericoli moltiplicano: l’infante potrebbe addirittura cadere. Tanto che sono in commercio appositi caschetti paracolpi “primi passi”.
Di acini d’uva e seggiolini auto
E cosa dire dei corsi di disostruzione pediatrica? Ormai imprescindibili, per genitori, nonni, maestre, babysitter e chiunque si avvicini nel raggio di 10 metri da un minore. L’altro giorno ho assistito alla conversazione di alcune madri scrupolose che, per evitare il rischio di soffocamento, tagliano a metà gli acini d’uva a bambini in avanzata età scolare (più grandi della bambina che attraversava la città da sola sotto la tempesta, per capirci). Sezionerebbero anche le caramelle, ma quelle non le danno a prescindere, perché lo zucchero fa male. Hanno ragione loro. Sono io la superficiale che dice alla figlia duenne: «Mi raccomando, mastica bene» e «Ti do la caramella se fai la brava» (frase sbagliatissima, sotto un’infinità di punti di vista che non sto neanche ad elencare).
Ma io sono una poveretta, accusata di dare un prezzo alla vita dei miei figli quando ho detto che mille euro per un seggiolino auto (moltiplicati per due figli, moltiplicati per due macchine) non li voglio spendere, e che ne avrei preso uno usato. Avete idea di quanto costi la roba per i bambini? Me lo avevano spiegato in un esame di marketing all’università: il consumatore è più propenso a spendere per un prodotto destinato all’infanzia. Io no, sono tirchia, scusatemi. Sì, lo so, dovevo pensarci prima di fare figli, che stolta.
Un lavoro estenuante, dove si può solo sbagliare
Ho parlato - molto sommariamente, fidatevi - del tema della sicurezza, ma è solo una delle specializzazioni richieste al genitore moderno. La madre di oggi, che si avvicina all’esperienza della maternità con maturità e consapevolezza, è responsabile di TUTTO ciò che riguarda il bambino ed è tenuta a informarsi e consultare esperti per ogni cosa.
Prendete l’allattamento: siamo mammiferi, dovrebbe essere una cosa “naturale” e relativamente semplice. Allo stesso tempo siamo anche una società evoluta: in caso di problemi abbiamo a disposizione il latte artificiale. La questione potrebbe considerarsi chiusa così? No, ed è stato uno degli articoli più contestati di questa rubrica. Oggi la madre deve informarsi, essere edotta delle qualità del latte che produce, avere una volontà ferrea di allattare e consultare ostetriche, o meglio Consulenti Professionali in Allattamento Materno (le maiuscole non sono mie) per capire come farlo e non demordere mai, e continuare ad allattare finché ce n’è: 2, 3, 4 anni.
E quando si passa alle pappe: vuoi non esserti documentata se sia meglio l’auto svezzamento o quello “classico” con gli omogenizzati? Ovviamente prima avrai fatto il già citato corso di disostruzione pediatrica per capire come meglio tagliare la banana e la carota (non a rondelle!).
E i pannolini. Voi direte: cosa c’è da sapere sui pannolini, oltre la taglia? Illusi. Mettendo tra parentesi le questioni dermatologiche sulla delicata pelle dei bebè, sappiate che il fatto stesso di cambiare i pannolini a vostro figlio mette a rischio il pianeta, sepolto sotto una montagna di plastica puzzolente. Noi madri, infatti, siamo anche responsabili del cambiamento climatico (ho letto articoli sostenere, serissimi, che la prima cosa da fare per ridurre il nostro impatto ambientale sarebbe non fare figli). Per espiare le nostre colpe e inquinare meno dovremmo passare ai pannolini lavabili, quelli che le nostre mamme avevano gioiosamente abbandonato, memori delle nonne che narravano quale schiavitù fossero le pezze da lavare e asciugare. Ma quelli moderni sono diversi, di svariati tipi, e anche in questo caso bisogna applicarsi, studiare, provare, quali siano i migliori per noi.
La pressione e la stanchezza mentale
La sentite la pressione, la stanchezza mentale? E finora abbiamo parlato solo di esigenze fisiologiche, non di educazione, disciplina dolce, affettività, sviluppo cognitivo, organizzazione casalinga, gestione del tempo, attività extrascolastiche, utilizzo di internet, condivisione dei compiti, libri, auto, viaggi, fogli di giornale. Tutte materie in cui dobbiamo eccellere: dall’insegnare il corretto metodo di studio (noi, che l’unica indicazione che ci davano i nostri genitori era: «Fai i compiti») a curare la socialità dei pargoli come facessimo le public relation , dal pianificare un menù settimanale nutrizionalmente impeccabile a placare l’incontenibile capriccio di nostro figlio treenne senza dargli uno scapaccione e senza urlare, ma in modo ugualmente efficace.
Mi viene da pensare, che – oltre a tutte le questioni pratiche ed economiche che scoraggiano la maternità – non sia anche questa pressione altissima, queste aspettative esagerate, questo stress infinito a farci dire che, dopo tutto, chi ce lo fa fare. Io i figli li ho fatti, ma lasciatemelo dire: sono una madre a responsabilità limitata. Arrivo solo fino a un certo punto. Non pretendo di caricarmi tutto sulle spalle e non saranno miei i meriti e i demeriti dei miei figli. So di non poter controllare tutto, e meno male.