Comincia tutto con una valigia. Quella che il bambino che viene affidato a una nuova famiglia prepara un po’ approssimativamente, disponendo alla rinfusa qualche ricordo, dubbi, tante paure. Una valigia che pesa dell’impossibilità di calcolare i tempi del viaggio e di conoscerne la destinazione. Perché, a differenza dell’adozione, l’affido non è il «per sempre». Ha un tempo limitato, che né la famiglia affidataria né il bambino possono prevedere in anticipo. Alcuni affidi durano pochi mesi, altri si protraggono per anni. E ad un certo punto richiedono di rifare quella valigia che si è fatta con fatica.
Negli scorsi mesi, vi abbiamo raccontato i numerosi tasselli di «Un cuore di casa», un progetto ideato da Sara Modora e Silvia Barbieri e sostenuto dall’Ambito Territoriale di Bergamo per sensibilizzare la cittadinanza sul tema dell’affido familiare, ancora meno noto rispetto all’adozione. Dall’iniziativa sono nati una trasmissione, andata in onda su Bergamo TV da dicembre ad aprile, una serie di laboratori di scrittura autobiografica coordinati da Adriana Lorenzi, che hanno coinvolto sia i genitori affidatari sia le operatrici del Servizio Affidi (ve ne abbiamo parlato in questo articolo). E poi, altri laboratori, questa volta di teatro, guidati da Silvia Barbieri e durati cinque mesi. Le suggestioni e i racconti scaturiti dalle esperienze vissute dai genitori, i figli naturali, i figli affidati, le assistenti sociali e le educatrici verranno ora messe in scena per ben cinque volte, all’interno di cinque dei sei comuni parte dell’Ambito di Bergamo.
Si comincerà sabato 17 settembre a Bergamo, presso il cortile della Biblioteca Caversazzi. Domenica 18 settembre la tappa è Gorle (Parco Biblioteca comunale), l’1 ottobre Orio al Serio (Parco pubblico Collodi), l’8 ottobre Ponteranica (Giardini pubblici di via Valbona) e per finire, il 9 ottobre, l’affido andrà in scena nel Parco Pubblico di Palazzo Vecchio di Torre Boldone. I luoghi sono tutti all’aperto, ma è prevista un’alternativa al chiuso per ciascuno, in caso di maltempo. Gli spettacoli avranno inizio alle 18, l’ingresso è libero fino ad esaurimento posti.
Una testimonianza itinerante
Sbaglio, se vi parlo di «spettacolo». Perché nessuno delle venticinque persone coinvolte (una ventina tra genitori e figli e cinque operatrici del Servizio Affidi) è un attore professionista. Piuttosto un «testimone» di relazioni costruite con fatica e con amore, e soprattutto della necessità, per educare un bambino, che l’intera comunità partecipi, che tutti si inseriscano nell’ampio progetto di intervento che coinvolge il minore, la famiglia d’origine, i servizi e la famiglia affidataria. «Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio», recita il proverbio africano che ha fatto da fil rouge all’intero progetto. E se questo villaggio non c’è, occorre costruirlo.
«Siamo di fronte a una progettualità davvero inedita sul tema dell’affido» commenta Marcella Messina, Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Bergamo. «Negli anni, sono state fatte numerose iniziative di sensibilizzazione, ma il valore aggiunto di questo progetto, voluto e sostenuto dall’amministrazione, è stato il fatto di riuscire a lavorare coinvolgendo i ragazzi, i bambini, le famiglie stesse dentro un processo partecipato. “Un cuore di casa” ha scelto di mettere al centro l’esperienza come fonte di apprendimento e di comunità, mostrando come tutto questo può essere generativo. Un conto è quando ne parlano gli esperti, un conto è quando l’esperienza viene vissuta in prima persona. Le cose esistono se le vediamo, se le raccontiamo, se proviamo a costruire empatia attorno a temi che chiedono un forte ingaggio alla famiglia, sono complessi, ma sanno restituire tanto e bene».
Quello che vedremo in scena a partire da sabato sarà una «messa nello spazio», come la definisce la regista, Silvia Barbieri. Ascolteremo storie d’affido che ruotano attorno, ancora una volta, all’idea di villaggio. «Il pretesto teatrale sarà l’arrivo nel villaggio di un’educatrice, Sara Modora. Il compito di Sara è quello di consegnare una valigia – chiaramente metafora del bambino che deve essere affidato a una nuova famiglia – a una casa del villaggio, ma ha perso l’indirizzo. Chiede così aiuto alle sue “tessitrici”, le altre operatrici del Servizio Affidi: sono loro a tessere quella che è la trama, una parte della storia dei bambini e dei ragazzi in affido, e loro passeranno in rassegna tutte le case di questo villaggio».
Le case che andranno a comporre il «villaggio dell’accoglienza» di cui parla Silvia saranno nove. Ognuna porta un nome specifico, assegnato ad hoc dai suoi abitanti. «C’è la Casa dell’ABC, dove all’inizio c’è stato il desiderio di imparare, di mettere bene le cose in fila; poi c’è la Casa che Tra-balla, che vive di una dimensione festosa, ma anche di tutte quelle incertezze che sorgono da un’esperienza di convivenza con tanti bambini e tanti figli. C’è la Casa Pelosa Su Due Ruote, una casa di appassionati di Harley Davidson oltre che di cani, fondamentali nel rapporto che si è creato tra la coppia affidataria e gli otto figli arrivati in casa. C’è la Casa degli Abbracci e quella Infortunata, dimora di un bambino che dopo tanti anni è tornato in comunità, dove c’è stata tanta fatica».
Tutte le case del villaggio verranno disegnate su alcuni fondali dalla scenografa e pittrice Fernanda Ghirardini. Sarà una messa in scena itinerante, perché il pubblico si sposterà nelle diverse postazioni, “entrando” nelle case, ascoltando e vivendo sulla propria pelle le storie raccontate. «Alla fine del percorso ci imbatteremo in una casa vuota, dove non c’è nessuno: è la Casa che Aspetta. L’epilogo sarà rivolto al pubblico: perché non potresti essere tu una famiglia affidataria? Tutti gli abitanti del villaggio verranno presentati per nome: loro sono lì, esempi viventi che intraprendere l’avventura dell’affido è faticoso, ma straordinario».
Il ruolo delle educatrici
Nella drammaturgia costruita da Silvia Barbieri, ascolteremo molto di quanto è emerso dai laboratori di scrittura autobiografica che le famiglie e le operatrici del Servizio Affidi hanno svolto insieme ad Adriana Lorenzi. «Alcuni dei testi scritti dai genitori sono molto poetici. “Sento il cane che passa, sento il bambino che dorme, sento mia moglie qua, sento la notte, sento il silenzio… sento la mia famiglia”». Silvia me ne recita qualcuno a memoria. «Ho dato risalto in modo fiabesco al ruolo delle educatrici e delle assistenti sociali, inserendo l’idea della valigia. È quello che fanno tutti i giorni andando in ufficio: portano pacchi e valigie di storie da sistemare nel modo migliore possibile».
Che sia veramente così, me lo conferma Daniela Refentini, una delle due psicologhe che lavorano per il Servizio Affidi dell’Ambito di Bergamo. A lei la partecipazione ai laboratori di scrittura autobiografica e a quelli di teatro è servita innanzitutto a ripensare il significato del lavoro che svolge quotidianamente. «È stato tutto un ridirci, un ridefinire cosa significa per noi lavorare con le famiglie, con i bambini. È stato anche un riscoprire lo stare insieme, un’accoglienza reciproca di noi operatori con i nostri difetti, i nostri pregi».
Nel 2020, l’Ambito Territoriale di Bergamo ha preso in carico un totale di 1.636 minori. Dalla messa in onda delle puntate di «Un cuore di casa» l’attenzione è cresciuta e al Servizio Affidi di Via San Martino della Pigrizia si sono rivolte alcune nuove famiglie. Ma i casi di minori in condizioni di fragilità sono ancora molti, come lo sono i bisogni. «È importante che il lavoro di sensibilizzazione della cittadinanza sul tema continui – conclude Daniela Refentini – Il teatro è un modo molto coinvolgente per fare sensibilizzazione: le famiglie che raccontano la loro storia rendono molto bene quali sono o quali sono state le varie tipologie di affido. Penso che le famiglie e i cittadini possano capire bene che cos’è l’affido in questo modo, un modo anche giocoso, simpatico. Vi aspettiamo».