Un anno fa abbiamo fatto appello al senso di responsabilità degli adolescenti, chiedendo a loro (come a tutti) di sacrificare scuola, amicizie, sport, contatti umani, relazioni, in nome del benessere comune. Ma come si fa quando l’emergenza Covid non si misura più in settimane o mesi, ma in anni? Cosa succede a chi vive passaggi particolari della propria vita – l’ingresso alle scuole secondarie, il passaggio al liceo, la pubertà, l’emancipazione della famiglia, il sesso – in questo momento storico?
“Stiamo lavorando a pieno regime, abbiamo visto i primi effetti del lockdown sugli adolescenti”, spiega Alessandra Beria, psicologa, psicoterapeuta, psicopedagogista, responsabile ambulatorio “I Mutanti” per la preadolescenza e l’adolescenza presso il Centro Divenire. “I ragazzi stanno incominciando a manifestare una serie di sofferenze psicologiche: disturbi di ansia, cali scolastici, episodi depressivi, disturbi alimentari in netto peggioramento specie sul versante dell’anoressia”.
Usare il corpo per conoscere
“Usare il corpo per conoscere l’altro è un compito evolutivo. La mancanza di contatto fisico è un fattore di rischio per la dismorfofobia, cioè la percezione di avere parti del corpo deformate o inadeguate”, spiega la psicologa. In preadolescenza la paura che nasce da una visione distorta del proprio aspetto esteriore è quasi fisiologica, perché il corpo cresce a scatti, spesso in modo non armonico. Nella stessa classe delle scuole medie si possono trovare bambini con corpi già sviluppati, ragazzini altissimi o bambine con il seno, e altri con caratteristiche ancora infantili.
“Pensiamo ai ragazzi che si spintonano e fanno giochi infantili: è una necessità soprattutto maschile. Il maschio predilige giochi più fisici specie in preadolescenza. Sono pulsioni che si giocano nel contatto, col distanziamento è come se si castrasse una parte di sviluppo”. Quali sono i possibili palliativi? “Chi ha potuto proseguire negli allenamenti sportivi ne ha tratto giovamento. Anche riscoprire la natura è utile in questo senso”.
Vigoressici e anoressiche
La dismorfofobia è legata ai disturbi alimentari, l’esempio classico è quello dell’anoressica che si vede con pancia o cosce enormi. Nel 90% dei casi questi disturbi insorgono durante l’adolescenza, un periodo di per sé di grandi cambiamenti.
I disturbi alimentari sono in crescita, anche a livello clinico, con un aumento di ricoveri per il crollo del peso. “Durante il lockdown ci è stato di prenderci questo tempo per occuparci di noi stessi, ma per un adolescente questo messaggio può diventare patologico: sfruttare il tempo e la solitudine per modificare il corpo, aumentando l’attività fisica in casa e il controllo sul cibo. C’è sempre nel disturbo alimentare un’ansia di controllo. Controllare il cibo e il numero sulla bilancia dà un senso di onnipotenza. Nei maschi tende a prendere la forma della vigoressia (l’ossessione per la massa muscolare) nelle ragazze dell’anoressia”.
Se la scuola è solo didattica
Con la Didattica a distanza è cambiato il modo di studiare: “La scuola ha perso i tempi morti, che diventano solo quelli legati alla connessione. Non c’è la possibilità di chiacchierare col compagno fra un’ora e l’altra, online è tutta didattica”.
Non discuteremo se e quanto sia formativa la scuola da remoto, limitandoci a segnalare l’aumentato rischio di dispersione scolastica: “Con la Dad i ragazzi, in particolare quelli che adesso sono in prima e in seconda superiore, non riescono a capire se hanno sbagliato scuola o se il problema è proprio nella distanza. Sono mancati i percorsi di orientamento e questo è un grosso problema, così come la mancanza di sostegno del gruppo classe”.
“I ragazzi vivono in uno stato di attesa perenne, si abituano a ritmi differenti e una maggiore. Al Centro Divenire abbiamo attivato due percorsi in presenza, di teatro e fotografia, che rientrano in un progetto di prevenzione e promozione del benessere psicologico (il Tik Teatrok, ndr [qui il link https://centrodivenire.net/2020/tik-teatrok/]). Abbiamo riscontrato una voglia spasmodica di incontrarsi, a fronte di una resistenza iniziale”.
In coppia come pensionati
Le relazioni che si formano a scuola non sono solo quelle di gruppo. Essere in una relazione di coppia è una grande risorsa per un adolescente in questo periodo: “Chi ha avuto la fortuna di sperimentarsi in questo senso prima del lockdown ha potuto aggrapparsi alla relazione e mantenere una connessione. Chi era ancora alla ricerca dell’amore è in grossa difficoltà”.
La domanda è sempre la stessa: “Come potrò incontrare la persona giusta?” le risposte però dovranno essere più creative, dal momento che è difficile contare sulle relazione vis a vis a scuola, alla fermata dell’autobus, al centro sportivo. “I social in questo senso possono essere una risorsa per conoscere persone”.
La fisicità è per forza di cose limitata, ma c’è una continua ricerca di intimità. Chi è in coppia è portato a vivere la relazione in modo molto più adulto di quanto non fosse in epoca pre-Covid. “Mi capita di scherzare con i ragazzi dicendo loro che sono più adulti degli adulti, quasi dei pensionati rispetto alle relazioni di coppia. Sono portati a bruciare qualche tappa e ad affidarsi molto all’altro. Sono tornate le telefonate fiume, come nelle pubblicità della Sip degli anni ’90. Alcuni si addormentano in videochiamata. All’interno della coppia raccontano il loro disagio o le preoccupazioni per la scuola. Molti, quando la zona gialla lo consente, sperimentano nel weekend quasi delle convivenze”.
Non chiedere: “Cos’hai fatto oggi?”
Per una adolescente passare tutto il tempo in famiglia è contro evolutivo. In più, non aiuta le famiglie a concepire la separazione dai propri figli e mancano i confini sani, quelli fra scuola e famiglia ad esempio. “Già è difficile per moglie e marito, se lavorano entrambi da casa e diventano come colleghi di lavoro. Per quanto riguarda i figli, tutte le problematiche sul voto, la dinamica di un’interrogazione, la didattica, ora possono essere ascoltate dal genitore. Abbiamo genitori che entrano a gamba tesa mandando mail o chiedendo ai professori che le cose vengano fatte diversamente, con un conseguente inasprimento delle relazioni scuola famiglia”.
Nel trascorrere tanto tempo in famiglia bisogna fare di necessità virtù, cercando di stimolare un maggiore dialogo ma che non sia controllante. “Non ha senso chiedere ‘Cosa hai fatto oggi?’ dopo una giornata passata in Dad, meglio un ‘Come ti senti?’, ma che sia fine a sé stesso, non una domanda introduttiva. Si può imparare a comunicare su tematiche nuove che non siano solo la scuola, ma la conoscenza dell’individualità sia del genitore sia del ragazzo. Una ragazza mi ha raccontato di essere rimasta molto colpita dall’avere scoperto che anche la madre, da giovane, aveva una passione per il disegno. È bello raccontarsi per le proprie peculiarità, preoccupazioni, interessi”.
Aggrapparsi a ciò che c’è
Non possiamo dare una data in cui l’emergenza Covid finirà, non possiamo promettere che andrà tutto bene. Dobbiamo stare nell’incertezza e nella quotidianità, ancorati alla realtà. “Non ci sono promesse da fare, c’è solo da lavorare con ciò che c’è e renderlo una risorsa”.
Qualche esempio? “Nelle classi che vanno a scuola in presenza al 50 per cento, c’è la possibilità di parlare con compagni con cui non si era mai entrati veramente in contatto, stabilendo nuove relazioni. Nel tempo a disposizione si può riscoprire il legame con la natura o imparare a usare i social in maniera meno compulsiva e più funzionale. Non bisogna guardare a ciò che manca, ma a cosa si può fare. Molti mi raccontano di non avere mai sentito come quest’anno la gioia nel tornare a scuola, cosa che a settembre non c’era stata. Si aggrappano a quello che c’è”.