«Ci sono bambini nelle nostre scuole che non si vedono mai rappresentati nei libri, se non come problemi da integrare», mi spiega un pomeriggio in biblioteca Ursula Grüner, pedagogista, divulgatrice di libri belli ed esperta di letteratura per l’infanzia, che sulla scelta del libro per uno stile educativo inclusivo tiene anche incontri formativi con gli insegnanti (l’ultimo in occasione di questa bella rassegna di Fileo).
Racconta: «Moltissimi libri trattano di intercultura e inclusione più o meno esplicitamente, ma la diversità è rappresentata come un problema da risolvere, questi libri hanno buone intenzioni, ma sono spesso didascalici. Penso che dobbiamo fare un passo avanti. Nelle scuole la diversità, è un dato di fatto, ma la scelta dei libri non lo rispecchia in modo naturale. I bambini e le bambine non hanno libri a disposizione in cui venga rappresentata la loro realtà».
Bambini “non bianchi” che fanno cose da bambini
Quanti sono i bambini neri protagonisti di storie per l’infanzia, senza che il tema del racconto sia il razzismo? Una manciata, da cercare col lanternino. Un classico è «Peter nella neve», pubblicato nel 1962, il primo albo di successo negli Stati Uniti ad avere un bimbo nero come protagonista. In Italia è edito da Terre di Mezzo, come anche il secondo libro della serie «Peter vuole fischiare».
Sono storie di vita quotidiana, dedicate a un pubblico prescolare, ma non per questo banali. La tecnica di disegno è sofisticata: collage con ritagli di tessuto di carta a motivi e tela cerata; timbri fatti a mano; spruzzi di inchiostro. Curiosità: l’autore e illustratore, Ezra Jack Keats, non era nero, ma un ebreo di Brooklyn figlio di immigrati polacchi. Scrisse sei storie con protagonista Peter, ispirato da un bambino afroamericano suo vicino di casa.
«Nell’editoria italiana si trovano pochi libri con protagonisti di colore, che non sono “difensori di una causa”», sostiene Ursula Grüner. Il che è spiacevole, perché anche i bambini e le bambine “non bianchi” hanno nonni che amano, genitori che litigano, voglia di avere un cane, di essere protagonisti di una storia di pirati e, in generale, di vedersi rappresentati. Così come i bambini “bianchi” hanno diritto di confrontarsi con diversi tipi di protagonisti.
L’esempio di Peter ci ricorda che, in generale, per trovare libri belli, attuali e inclusivi non serve per forza buttarsi sulle ultime uscite. Anzi: un bel libro è sempre moderno, anche se scritto 50 o 100 anni fa, e spesso spulciare nei cataloghi e affidarsi a librai esperti è più efficace di inseguire le novità.
«Forte, tosta, indipendente»
Parlando di classici, il mio cuore torna sempre a «Pippi Calzelunghe», la bambina che ha fatto immensamente divertire almeno quattro generazioni di lettori in ogni parte del mondo. Capace di sollevare un cavallo a mani nude, i miei figli l’hanno presa a modello di forza («È forte come Pippi», dicono dei lanciatori di martello alle Olimpiadi). Pippi Långstrump, esempio di indipendenza, vive da sola, decide lei quando farsi il bagno (e lo fa con i vestiti addosso), ha un forziere pieno di monete d’oro e non deve rendere conto a nessuno.
Pippi non ha nulla di didascalico: non spiega alle bambine che è giusto studiare le materie Stem (lei non va nemmeno a scuola) o che possono competere con i maschi. Lei è la più forte, non solo dei suoi amici Tommy e Annika – senza che questo guasti in alcun modo l’amicizia – ma anche più forte di un toro infuriato o di qualunque uomo adulto che voglia sfidarla a braccio di ferro. Pippi Calzelunghe vive in una dimensione fantastica e surreale, che apre all’immaginazione dei bambini, e allo stesso tempo è un modello di lealtà, amicizia, autostima, libertà, bontà e autonomia.
Della nuova ondata femminista mi disperano i libri di “empowerment femminile” rivolti alle bambine. Le varie “storie per bambine ribelli”, per intenderci. Invariabilmente, mi suonano come la canzone di Marcella Bella all’ultimo Sanremo: «Volitiva, niente alibi/ La mia più grande fan sono io/ Forte Tosta Indipendente». Per la serie: se devi dichiararlo, siamo sicuri che tu lo sia? (Ci tengo a dire che questo non è una critica a Marcella, la preferita di mio figlio al Festival).
Non c’è una sola volta che Astrid Lindgren descriva Pippi come “ribelle”. Pippi è come è, non c’è bisogno di rimarcare quanto sia anticonvenzionale. Peraltro Pippi è amica di Annika, che, contrariamente a lei, è una bambina «a modino». Fra le due c’è stima e affetto reciproco: non devono dimostrare niente a nessuno.
È giustissimo porsi il problema che le bambine abbiano buone protagoniste in cui identificarsi (e, non secondario, che i bambini maschi possano apprezzare libri con protagoniste femminili). Ed è per questo che ci servono libri belli, non agiografie, non sermoncini pensati con mente adulta e poi tradotti in un linguaggio semplificato.
Attenzione: disabili
Libri belli con bambine protagoniste si trovano, libri belli con bambini di diverse provenienze è già più difficile, libri belli con bambini che abbiano una qualche forma di disabilità è praticamente impossibile. Il tono è sempre più o meno questo: ecco, ti spiego cos’è un disabile. Lui è speciale.
A loro discolpa: a volte possono servire dei libri che, come manuali tecnici, ci aiutino a spiegare dei concetti “difficili” ai bambini. La speranza è che lo facciano con precisione, onestà e senza paternalismo. Non si tratta di letteratura (va benissimo così). Ciò che è difficile trovare è un libro con qualità letterarie – perché la letteratura per bambini è letteratura, così come le illustrazioni sono arte – che tratti il tema. Per farlo ci vuole una grande autrice come Beatrice Alemagna (due volte medaglia d’oro a New York per il migliore libro illustrato).
Chi sono «I cinque malfatti» protagonisti della storia? Il primo era bucato: quattro grossi buchi in mezzo alla pancia. Il secondo era piegato in due, come una lettera da spedire. Il terzo era molle, sempre stanco, addormentato. Il quarto era capovolto: naso in giù e gambe in su. Il quinto era sbagliato dalla testa ai piedi. I cinque vivono inconcludenti e allegri, finché non arriva “Il Perfetto”, che guarda i malfatti dall’alto in basso, e chiede loro cosa fanno: «Boh. Niente. Sbagliamo tutto», rispondono loro. «Non servite a niente! Siete delle vere nullità!» è la deduzione del Perfetto. L’albo non parla mai esplicitamente di “disabilità”: i malfatti potrebbero essere chiunque: disabili, neuro divergenti o anche semplicemente bambini, non ancora piegati alle logiche dell’utilitarismo adulto. È più un libro sul senso della vita che sulla disabilità in senso stretto, è un libro letterario.
Ed è questo l’antidoto ai libri brutti, che tali sono anche quando trattano di temi alti: rifuggire la banalità, il didascalismo, il piattume. Confidare nel potere dell’arte e dell’immaginazione, puntare in alto.