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Noi genitori e la fine della scuola: «Cosa facciamo i prossimi tre mesi?»

Articolo. Il primo giorno di scuola di mio figlio sapevo, come una sorta di “memento mori”, che sarebbe arrivato anche l’ultimo, seguito da un’interminabile estate lunga tre mesi. Eppure l’ultima settimana di scuola mi ha colto lo stesso impreparata, disorganizzata e con le idee confuse. Come si arriva a settembre?

Lettura 4 min.

Fra genitori di compagni di classe sono mesi che ci scambiamo link ai vari centri ricreativi estivi, ma io devo ancora completare l’iscrizione. Non è dimenticanza, è che è davvero difficile scegliere cosa fare e come organizzarsi. Il passaggio alla prima elementare è anche questo: niente più giugno a scuola (grazie, maestre dell’infanzia!), niente più certezza di ripartire la prima settimana di settembre. Solo tre mesi di sconfinato vuoto, nella vana speranza che il calendario scolastico venga riformato. Quest’anno senza neanche la soddisfazione di poter dire: fa caldo, almeno andremo in piscina, perché nemmeno abbiamo tolto le coperte dai letti e ogni mattina usciamo di casa col k-way.

Sento già gli echi di chi commenta, sempre a sproposito: «La scuola non è un parcheggio», «Se non volete stare con i figli cosa li fate a fare». Parole sgradevoli che nascondono una grande verità: se i figli sono un “problema” esclusivamente dei genitori, più facilmente non se ne faranno, ed è esattamente quello che sta succedendo, vista la crisi demografica in atto. Noi, però, che i figli li abbiamo fatti nonostante tutto, non potremmo avere una mano? Cosa si suppone che facciano dei genitori che, ad andare bene, possono prendere tre settimane di ferie estive, se le settimane a casa da scuola sono 13? Dove li piazziamo i figli le 10 settimane restanti? Accetto suggerimenti di ogni tipo, e ho preso in esame le opzioni più svariate, che provvedo a elencare.

Il Cre

I Centri ricreativi estivi sono una grande risorsa, e meno male che ci sono. Ma la loro natura è piuttosto ambigua: si tratta di un servizio pubblico – e pertanto da garantire, seguendo degli standard rigorosi, anche a chi è privo di mezzi – oppure no? È un’impresa privata? È un semplice luogo di gioco sorvegliato? Ha una valenza pedagogica o è un parcheggio? È una bella esperienza per i bambini o il male minore rispetto all’abbandono di minore? Chi si prende cura dei bambini: volontari, membri sottopagati di cooperative, personale formato, qualificato e pagato correttamente?

Lo chiedo perché volevo iscrivere mio figlio a un Cre comunale: non sono state comunicate le date, i luoghi e i costi fino alla sera del 30 maggio, meno di dieci giorni prima della fine della scuola. In compenso, i Cre parrocchiali sono già esauriti da mesi. Avevo preso in considerazione quello della parrocchia vicino casa: costi contenuti, belle attività, ottimi spazi ma… I bambini sono mischiati per età, non sono sicura che mio figlio sarebbe a suo agio con bambini molto più grandi, vanno tutte le settimane in piscina e lui non sa nuotare bene, avranno abbastanza occhi per controllare che non affoghi? Ci ho pensato troppo e ho perso il posto.

Ci sono poi i Cre “deluxe”, quelli che costano 150, 200, anche 300 euro a settimana (non sempre con il pranzo compreso). A me piacerebbe anche che mio figlio facesse un’esperienza immersiva di lingua inglese, o che imparasse a preparare il formaggio di capra o a comporre dipinti astratti a tempo di musica (tutte proposte che ho vagliato), ma non è proponibile che si dedichi a queste attività per tutta l’estate, anche perché spenderei facilmente oltre duemila euro.

Tenerli a casa

Per alcuni genitori è semplicemente impossibile, ma dopotutto né io né mio marito abbiamo il classico orario di lavoro lunedì-venerdì dalle nove alle diciotto. Giocando con i turni, un po’ di smart working, una babysitter, il nonno, la zia e un paio di amiche dovremmo riuscire a tenere il figlio maggiore un po’ a casa (la più piccola fa il nido, aperto anche a luglio: grazie educatrici). Faremo così, per un paio di settimane, in attesa che parta il tanto sospirato Cre comunale, il 24 giugno.

Da un lato mi sembra giusto “staccare”: ho voglia di fare col bambino tutti quei piccoli lavoretti che non si ha modo di fare durante l’anno, portarlo a fare delle commissioni, avere ritmi più lenti, cominciare i compiti delle vacanze, leggere libri, tirare fuori le tempere. Dall’altro temo che finirà a guardare la televisione mentre io sono al computer. Purtroppo noi genitori siamo diventati responsabili anche della socialità dei nostri figli: non esistono più i cortili dove i bambini si incontrano da soli, non ci sono cuginetti né vicini di casa da coinvolgere. Dobbiamo organizzare appuntamenti al parchetto, feste, merende, gite. Lo facciamo anche con piacere, ma è insostenibile procedere con questi ritmi per tre mesi mentre, in teoria, si dovrebbe anche lavorare.

I nonni

Da tempo non ero invidiosa di qualcuno come lo sono dei genitori dei compagni di scuola di mio figlio che non li mandano ai Cre perché hanno i nonni: giovani, volonterosi, in salute e pensionati. Nella migliore delle ipotesi con la casa al mare, ma va bene anche un modesto giardinetto in periferia. C’è chi si trasferisce da altre regioni per badare ai nipotini, chi li ospita nella casa di villeggiatura.

I miei mi portavano tutti gli anni due settimane sulla riviera romagnola. Quelli di mio marito lo tenevano ogni mattina in casa loro mentre i genitori lavoravano: partite a carte, Tour de France, pranzo a mezzogiorno e pennichella. Purtroppo, però, se i nonni non ci sono non ce li possiamo inventare.

L’accrocco

Quando noi genitori ci incontriamo, davanti a scuola, in oratorio, ai giardinetti, la domanda più frequente che ci scambiamo in questo periodo è: «Ma voi, come fate?». A quel punto confrontiamo le agende dei rispettivi figli, come fossimo assistenti personali di amministratori delegati di qualche multinazionale:

«Il mio fa due settimane di Cre nel bosco, poi va in vacanza col papà, poi sto a casa io una settimana, poi corso di arrampicata, una settimana di Cre con l’oratorio e babysitter a settembre»

«Allora dovremmo incrociarci quella settimana per la gita del Cre in montagna, ma non l’ho ancora iscritto…»

«Ti piace il rischio! Ma invece sai cosa fanno i gemelli?»

«Le prime due settimane sono in campeggio con i nonni – sospiro di invidia – poi dovremmo vederci alla festa al parco di X, voi venite?».

Da un lato noi “grandi” ci stressiamo da morire, dall’altro non mi sembra un modo sanissimo di vivere l’infanzia: c’è davvero pochissimo spazio per l’improvvisazione, la noia, l’avventura, la socialità non programmata e non mediata dall’adulto. Ma che ci possiamo fare? Solo del nostro meglio, e aspettare settembre.

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