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I nostri figli non ci devono niente

Articolo. Non mettiamo al mondo qualcuno perché ci ami, ma per amarlo. I figli non potranno mai ricambiare tutto ciò che fanno i genitori per loro, e non è giusto chiederglielo. L’unica “ricompensa” cui possiamo ambire è che crescano diventando delle persone gentili.

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La gratitudine è il sentimento più bello da provare e il più meschino da esigere. Per questo voglio che i miei figli ne siano liberi: non chiederò mai loro di essermi grati, di ricambiare le mie premure, di apprezzare i sacrifici fatti per loro o di “ricompensarmi” per qualcosa. Né da bambini né da adulti. Il mio amore è gratuito e non esige contraccambio: ne facciano quello che vogliono.

Cresceranno pensando che tutto gli sia dovuto? Se per “tutto” si intende l’amore e il soddisfacimento dei loro bisogni primari spero proprio di sì: l’amore non si merita e accudire i figli è proprio il compito di ogni genitore sufficientemente buono. Se per “tutto” si intende che saranno dei principini viziati conto di no, non è inculcando il senso di colpa per essere venuti al mondo che si fanno i figli beneducati.

Responsabilità, piuttosto che ricatti emotivi

I miei bambini avranno molti doveri nella loro vita. Ne hanno già alcuni, proporzionati alla loro età, ma tra questi non ci sono io. Per questo ci rimango un po’ male quando mio figlio di sette anni, vedendomi scocciata perché non ha riordinato il tavolo o non si è ancora lavato i denti, mi scruta e mi chiede: «Ma torni felice se metto a posto?». Io, allora, gli ripeto ancora una volta che deve sistemare perché altrimenti non ha più spazio per giocare, e deve lavarsi i denti perché se no vengono le carie, e deve fare i compiti perché imparare è bello, e deve mettere i vestiti in lavatrice per trovarli puliti, e deve uscire di casa puntuale perché se no perde il pullman. E in nessuno di questi doveri c’entro io, non sono cose fatte per fare felice me, ma sue responsabilità.

Ho orrore dei ricatti emotivi con cui sono cresciute le passate generazioni, compresa la mia: «Mangia, pensa ai i bambini africani che muoiono di fame», «Queste belle cose quand’ero piccola me le sognavo», «Hai troppi giocattoli, troppi vestiti, sei viziata», «Mi hai deluso». Trovo paradossale che la mia generazione, che cerca – per quanto a volte in maniera confusa - di educare in modo rispettoso e gentile, venga dipinta come la peggiore generazione di genitori della storia.

Evitare i ricatti emotivi non è dipingere un mondo di unicorni fatati e zucchero filato, abolire la frustrazione e il fallimento, esaltare i figli qualsiasi cosa facciano. Si tratta, piuttosto, di assumersi le proprie responsabilità di adulti e di genitori: preparare le verdure e non dare accesso ai dolciumi se vogliamo che i bambini mangino sano, comprare il quantitativo di giochi e vestiti che noi riteniamo adatto, spegnere la tv o il tablet o il telefonino quando va spento, prendere le decisioni che noi pensiamo corrette senza pretendere che siano in grado di farlo loro, accettare che possano sbagliare e fare errori. Il focus sono loro, non noi, i nostri sentimenti, le nostre fatiche.

Non hanno chiesto i bambini di venire al mondo

«Non hanno chiesto loro di venire al mondo», mai come in questo periodo storico è vera questa frase. I figli, quei pochi che facciamo, sono sempre più voluti e cercati. Siamo noi che li mettiamo al mondo e sono una nostra responsabilità, che loro non potranno mai “ricambiare”. I bambini hanno bisogno del nostro amore e delle nostre cure letteralmente per sopravvivere; non è vero il contrario. Non mettiamo al mondo qualcuno perché ci ami, ma per amarlo. La relazione con i figli non è mai paritaria.

Se comprendiamo e accettiamo fino in fondo questo dato di fatto diventa molto più semplice sopportare le normali intemperanze dei bambini, quando posti di fronte a una regola sgradita o una frustrazione ci dicono: «Sei cattiva» o anche «Non sono più la tua bambina», «Non ti voglio più bene», «Voglio solo papà» (o la mamma, a seconda del momento). Non sono affermazioni che possono metterci in crisi. Rimaniamo saldi: «Io invece ti voglio moltissimo bene, ma non puoi giocare col mio rossetto». Quello che non ha senso sarebbe pretendere che una treenne comprenda il valore economico del mio make-up o che si faccia carico del mio benessere emotivo: «Non dire così, o la mamma piange», «Come puoi non volermi bene, con tutto quello che faccio per te». Non è loro compito farci felici.

Allenare all’empatia

Loro sono i bambini e noi gli adulti, ma questo non significa che noi siamo invincibili. Noi madri (e padri) abbiamo il diritto di essere tristi, stanchi, arrabbiati, nervosi, avere problemi sul lavoro, economici, di salute, con i nostri stessi genitori. Tutte cose che capitano e che non siamo tenuti a nascondere ai nostri figli. Certo, dobbiamo loro una spiegazione adeguata in base all’età, e cercare di mostrarci abbastanza padroni di noi stessi da non spaventarli (cosa che a me non riesce sempre).

Se un certo gioco è troppo costoso e non possiamo (o vogliamo) permettercelo, lo spieghiamo con parole semplici, senza inculcare il senso di colpa per averlo chiesto o - peggio ancora - rinfacciare il dono se alla fine cediamo. Possiamo raccontare dei sacrifici economici che stiamo facendo, possibilmente senza angosciarli. Se siamo stanchi e magari abbiamo avuto una brutta giornata possiamo dirlo, senza “pretendere” che siano comprensivi – e allora stiano zitti e buoni - ma allenando la loro capacità di provare empatia. Possono sorprenderci. L’altra sera a cena mio figlio mi ha chiesto: «Sei contenta che siamo al ristorante così non devi cucinare e ti rilassi?». Mi ha fatto piacere, non perché voglio mi sia grato di preparargli da mangiare, ma per il pensiero gentile e la consapevolezza mostrata.

Cosa dobbiamo noi ai nostri genitori?

Tutto, niente. Ognuno di noi fa i conti con la propria esperienza di figlio, per poi scoprire – la maggior parte delle volte – che i nostri genitori hanno fatto quello che potevano (del loro meglio, se siamo stati fortunati) con gli strumenti che avevano. Anche noi faremo per loro quello che possiamo, nelle mille variabili dell’esistenza umana. Esistono figli negletti che accudiscono genitori bisbetici e altri che paiono presi dal cast di «Parenti serpenti» (il mio film di Natale preferito), chi riesce a perdonare e risolvere i conflitti e chi no, i generosi e chi è accecato dall’interesse materiale, chi dimostra gratitudine e chi non lo fa, perché la gratitudine è come l’amore e non si può imporre. Giudicare gli altri non è mai una buona idea, ognuno faccia i conti con sé stesso.

Ai nostri genitori - o malgrado i nostri genitori, se non siamo stati proprio fortunatissimi - dobbiamo di cercare di essere delle “brave persone” (locuzione che ognuno di noi può riempire con i suoi valori di riferimento). Ed è anche il fine ultimo dell’educazione che proviamo a impartire ai nostri figli: che diventino uomini e donne di valore. E, se un giorno saranno genitori, avranno modo di ricambiare l’amore incondizionato che hanno ricevuto, riversandolo sui loro figli.

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