Quando spiego a mia figlia di tre anni che domenica è la festa della mamma comincia a cantare «Tanti auguri a te…». Allora le spiego che non è il mio compleanno, ma la festa di tutte le mamme. A quel punto ribatte: «Posso venire anch’io?», perché giustamente si immagina che io e le mie amiche con figli saremo impegnate in un fantastico party solo per noi. Una grande idea, in effetti. E per la prima volta mi sono chiesta: « Cosa ci piacerebbe davvero ricevere per la festa della mamma, a parte l’invito a un esclusivo cocktail party con torta e bollicine?».
Non doverci pensare
Qual è la prima cosa che vorrei per la festa della mamma? Non doverci pensare io. Non dover ricordare io ai miei figli che mi piacerebbe molto che mi facessero una sorpresa: un disegno, una dedica affettuosa, gli auguri. Non dover rispondere a mio marito che mi chiede: «Vuoi che ti facciamo qualcosa?», non dovergli ricordare di fare gli auguri a sua madre. Non dover comprare il dolce o pensare a fare una torta, non dare suggerimenti a nessuno.
È un esempio, dei più leggeri, di quello che viene chiamato “carico mentale”, cioè quel lavoro invisibile di cura che consiste nel dover sempre pensare a cosa c’è da fare, organizzare tutto per tutti, non dimenticare niente. Un lavoro tipicamente femminile. In questo caso, visto che la festa è mia, e che purtroppo mia madre non c’è più, vorrei proprio fosse mio diritto ignorare le bancarelle dei fiori, le pubblicità dei gioielli e dei gadget per la casa che si suppone piacciano alle mamme.
Un riconoscimento del nostro valore
No, non mi interessa il premio di “m amma migliore del mondo”, magari stampato su una tazza da colazione o su un grembiule, né che i miei figli dichiarino che sono la donna della loro vita (a dirla tutta mi sembrerebbe piuttosto cringe, come dicono i giovani). Il regalo che vorrei è che venisse maggiormente riconosciuto il valore sociale delle madri: stiamo crescendo, spesso con notevoli sacrifici personali, le future generazioni. Ognuna di noi, a modo suo, sta facendo un lavoro importante, non solo per la sua famiglia ma per la società tutta.
Troppo spesso, tolte le frasi retoriche sulla mamma che è sempre la mamma, il nostro ruolo viene sminuito e visto solo come “privato”, banale, irrilevante, di scarso interesse. Anche da qui viene il diffuso sentimento di solitudine delle neo madri , la silenziosa disperazione di chi si sente privata della sua vita “precedente” per finire in un limbo di pannolini, rigurgiti, pappette, docce non fatte e sonno mancante. Vorrei incitare chiunque si senta così come si fa con i ciclisti impegnati in una salita del Giro d’Italia: mettermi a bordo strada e applaudire i loro sforzi. Riconoscere la loro fatica, non per compatirle, ma perché stanno compiendo una grande impresa.
La tutela del nostro lavoro fuori casa
Anche il lavoro delle madri fuori casa conta. Uno dei motivi per cui si rimanda la scelta di fare figli o la si accantona proprio è la paura di perdere il proprio impiego. C’è chi lavora per necessità, chi ne farebbe volentieri a meno, ma anche chi è appassionata, chi vuole fare carriera, chi se non uscisse per andare al lavoro si sentirebbe mancare l’aria. Non dipende solo dal tipo di occupazione, ma anche dal tipo di persona che si è, dal proprio vissuto, dalle proprie aspirazioni.
Un regalo che chiederei a colleghi, capi, parenti e conoscenti tutti sarebbe quello di non dare per scontato che una madre, o anche solo una donna, abbia meno ambizioni sul lavoro di un uomo. C’è chi, dopo aver fatto un figlio, non ha nessuna intenzione di fare un passo indietro e prende il suo lavoro molto sul serio, anche più di prima, perché sa che il suo tempo e le sue risorse sono limitate e vanno sfruttate al meglio. Un giorno l’amministratore delegato di una multinazionale mi ha detto che stava molto attento a proporre le stesse occasioni di carriera sia a uomini sia a donne, comprese quelle più “difficili” per chi ha famiglia, come trasferimenti e trasferte. «Lascio che sia il dipendente o la dipendente a fare la sua scelta, senza penalizzare chi decide di rinunciare». Dovrebbe sempre essere così, non è quasi mai così.
Una rete sociale
Una mia collega, da piccola, in primavera passava i pomeriggi in oratorio a preparare uno spettacolo per la festa della mamma, con tutti gli altri bambini del paese. Se ne occupavano i volontari, organizzando le prove e la kermesse finale, con canti e balli. La cosa più bella è che le mamme non ne sapevano niente e non si occupavano di niente: dovevano solo presentarsi il giorno giusto e godersi le esibizioni.
Non so se da qualche parte ci siano ancora iniziative simili, ma mi sembra difficile. L’idea che possa esserci qualcuno, non parente, che faccia gratis qualcosa per i bambini e le famiglie mi pare fantascienza. Eppure, come sarebbe bello. Sarei pronta a ricambiare il favore, ma in città siamo talmente disabituati a questo tipo di relazioni che non saprei neanche da che parte cominciare.
« Me ne occupo io »
«Me ne occupo io»: esistono parole più belle? Questo è un suggerimento pratico che do a chiunque viva con una mamma, per farle una sorpresa, che sia domenica 12 maggio o 365 giorni l’anno. Ho amiche che hanno addestrato precocemente i figli all’arte della moka, in modo che della colazione materna possano occuparsene loro. Le migliori fra noi hanno ottenuto che i figli non le sveglino quando si alzano prima di loro la domenica mattina.
Altre frasi apprezzatissime: «Dormi finché vuoi», «L’ho già fatto», «Sei bellissima con quel vestito nuovo». Oppure, come ha appena fatto mio marito: «Esci venerdì a mangiare quella pizza con i colleghi, mi arrangio io con i bambini, anche se finisco tardi di lavorare».