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Come gestire la gelosia tra fratelli (e fare in modo che da grandi si rivolgano la parola)

Articolo. Perché esistono fratelli e sorelle che vanno d’accordo e altri che si odiano? Dall’infanzia all’età adulta, i rapporti fra fratelli sono spesso un mistero. Cosa possiamo fare noi genitori per favorire i loro buoni rapporti?

Lettura 4 min.

Uno dei misteri più imperscrutabili delle relazioni umane sono i rapporti tra fratelli. Cosa fa la differenza fra le sorelle Brontë e le gemelle Olsen? Tra Hansel e Gretel e i fratelli Gallagher? Fra Romolo e Remo e William & Harry? Senza scomodare la storia, il gossip e la mitologia: perché esistono fratelli che vanno d’accordo e altri che si odiano?

È una domanda che mi faccio spesso, guardando agli adulti ancor più che ai bambini. Ci sono fratelli e sorelle che sono il braccio destro l’uno dell’altro, c’è chi ha sempre litigato e mal si sopporta, altri che sono in rapporti di vicinanza e amicizia, ma anche chi si sente solo per gli auguri di Natale, o chi addirittura non si parla da anni. Da cosa dipende? E c’è qualcosa che noi genitori posiamo fare per favorire i buoni rapporti fra fratelli?

Fratelli coltelli

Mi accorgo di essere tutto sommato fortunata nelle mie relazioni familiari quando vedo quanti, fra i miei conoscenti, hanno tagliato completamente i rapporti con un ramo della famiglia, spesso con i propri stessi fratelli, di solito per questioni di soldi, eredità, sgarbi o invincibile antipatia.

Questo è un meme che ho trovato in diverse versioni, una rappresentazione più che realistica dell’esperienza di molti. Per fortuna ci sono anche esempi positivi di fratelli che si supportano e si vogliono bene, pur avendo i loro conflitti. Una regola generale non l’ho trovata, ma le basi del rapporto si costruiscono durante l’infanzia, e qualcosa che noi genitori possiamo fare c’è.

Un fratello è un dono, ma non nel senso che ti aspetti

La nostra esperienza personale non può prescindere da quella collettiva. Al momento siamo a 1,2 figli per donna, un dato in costante discesa. Questo vuol dire che avere fratelli non è per niente scontato, e il fatto che non lo sia ha un impatto prima di tutto su noi genitori.

Diventare madri e padri è sempre più una scelta, e questo sottopone i genitori a crescenti pressioni, che le generazioni precedenti ignoravano. L’opportunità di fare o meno il secondo figlio (non parliamo del terzo o del quarto, scelte sempre più rare, e in quanto tali percepite come “bizzarre”) rientra fra queste pressioni sociali. I dilemmi cui rispondere vanno dal classico: «Devi fargli la compagnia o rimane da solo, poverino» al più attuale: «Ma te lo puoi permettere?», fino al grande dubbio: «E se poi trascuri il primo?». La preoccupazione maggiore, che credo le altre generazioni non abbiano mai esperito, è proprio quella che un secondo figlio tolga attenzioni al primogenito. La mia risposta è: «Certo che sì, per fortuna».

Il fatto che si facciano pochi figli fa sì che si concentrino su di loro un numero spropositato di attenzioni. Non parlo del classico luogo comune del “figlio unico viziato”, ma proprio della libertà di non avere i genitori sempre addosso e di poter condividere questo carico con altri. Me lo ha sempre detto la mia migliore amica, cresciuta con genitori piuttosto asfissianti: «Per fortuna che c’è mio fratello». Io stessa, sapendo di non poter ambire al premio di madre dell’anno, ho pensato: «Se sono in due, farò meno danni». Un secondo figlio aiuta anche a “ridimensionarsi” come genitore: ci si rende conto di come i risultati del nostro educare possano essere diversi, perché diversi sono i figli. Questo per me è il primo dono dell’avere un fratello: alleggerire il carico, costruire nuove alleanze, dare maggior respiro alla famiglia.

Il mio figlio preferito

I bambini reclamano cura e attenzioni. Non posso dire a mio figlio: «Questo disegno ti è riuscito proprio bene» senza che mia figlia, se presente, si risenta: «Ma anch’io sono stata brava, perché non me lo dici», e viceversa. Se faccio una coccola all’uno verrà reclamata anche dall’altro, e così ogni premura o gesto gentile. Quando fanno così mi sembrano teneri, gratificanti, a tratti un po’ fastidiosi, e cerco di essere rassicurante, dicendo a entrambi che sono «Il mio figlio preferito» (il preferito dei maschi e la preferita delle femmine, me la cavo così).

La gelosia esiste, ma non va drammatizzata. In nessun modo chi sta mettendo al mondo un secondo (o un terzo) figlio sta facendo “un torto” al primo, timore sempre più diffuso. Non è detto che l’arrivo di un fratello sia un “trauma” e che il primogenito viva l’esperienza terribile di sentirsi “messo da parte”. In primo luogo perché sperimentare dei limiti (ad esempio: «Adesso non posso giocare con te perché il neonato deve mangiare») mi sembra sano, in secondo luogo perché buona parte della gelosia può essere gestita e arginata se noi genitori per primi abbiamo un rapporto sereno con i bambini.

Resto convinta che un fratello o una sorella siano un dono, ma è normale che scatenino sentimenti ambivalenti, che vanno accettati: un bambino può essere contento ed eccitato dell’arrivo di un fratellino, ma allo stesso tempo scocciato e impaurito. Coinvolgere il grande nella cura del piccolo, ma anche ammettere a lui e a noi stessi che i nuovi nati possono essere molto impegnativi e francamente molesti, aiuta a creare un rapporto positivo. Molto più che pretendere d’imporre buoni sentimenti: «Devi voler bene a tuo fratello, devi prendertene cura» o fare leva sul senso di colpa: «Sei il più grande, non puoi comportarti così».

Funziona meglio un approccio positivo: «Lui poverino non è ancora capace, dovrà imparare un sacco di cose da te», «È proprio fortunato ad avere un fratello (o una sorella) come te». Allo stesso tempo, si cerca di preservare naturali spazi di ognuno, che dipendono dall’età e dalle inclinazioni, senza pretendere una condivisione forzata di tutto.

Litigare è normale

I cani abbiano, i neonati piangono, i fratelli litigano. Non c’è bisogno di fare un dramma delle normali faccende della vita. I litigi fra bambini non sono l’anticamera della violenza o di un carattere prepotente e rissoso, ma un modo per sperimentare la relazione.

I bambini che litigano lo fanno perché giocano insieme, e questa è un gran fortuna e un obiettivo raggiunto. I loro litigi possono essere fastidiosi, rumorosi o insensati ai nostri occhi, ma devono imparare a gestire i conflitti (per un gioco, una mela, il cartone da scegliere, i libri da sistemare) senza alzare le mani e senza l’intervento esterno degli adulti. Lasciarglielo fare è un grande regalo che facciamo ai bambini e alle loro competenze relazionali. Purtroppo imparare a “litigare bene” fra amici è sempre più difficile, perché i genitori sentono la pressione di dovere intervenire per ristabilire la “giustizia”, appianare i conflitti e mostrarsi attenti, ma a casa abbiamo un po’ più di possibilità di “lasciare fare”. Approfittiamone.

L’educazione che diamo parla di noi

Possiamo cercare di creare un clima familiare positivo, ma come essere ragionevolmente certi che i nostri figli non si scanneranno da grandi? Una risposta non c’è, se non che i valori che trasmettiamo sono quelli che viviamo. Se noi per primi non rivolgiamo più la parola ai nostri cugini perché abbiamo litigato per l’eredità della nonna diventa difficile predicare la generosità e la condivisione dei giochi. Se ci sentono malignare di qualsiasi persona conoscano, è impossibile insegnare la gentilezza o la tolleranza. Se siamo poco equi nella maniera in cui li trattiamo creeremo astio e risentimenti. Anche i casi della vita contribuiscono ad avvicinare o allontanare le persone, non tutto dipende da noi, ma qualcosa nei nostri valori di base sicuramente sì.

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