Non sono molti i programmi della tv generalista in grado di rivolgersi ai giovanissimi. Uno di questi è Il Collegio, in onda in prima serata il martedì su Rai2, che nella classe di età 11-14 anni fa share sopra il 50%. Anche solo per questo vale la pena di darci un’occhiata. Lo abbiamo fatto coinvolgendo un gruppo di ascolto composto da una professoressa di Lettere (Vera Pacati), una psicologa dell’adolescenza (Alessandra Beria) e un videomaker con molta esperienza nell’ambito didattico (Fabio Fassini). Una platea competente, che si è divertita a guardare il programma e a rispondere alla domanda: “Cosa c’è (ammesso che qualcosa ci sia) di vero?”
Come funziona Il Collegio
Potremmo definirlo un esperimento sociale: venti teenager di oggi che lasciano smartphone e famiglie per ritrovarsi a convivere in un “rigido” istituto scolastico come se fosse il 1992. Ma è prima di tutto un prodotto di intrattenimento, giunto alla quinta edizione, che strizza l’occhio anche agli adulti, legittimandoli a puntare il dito contro i “giovani d’oggi”.
Ignoranza crassa, strafottenza, superficialità: c’è tutto ciò che rende insopportabile un adolescente nei protagonisti de Il Collegio, scelti evidentemente per essere divisivi. Del resto, chi assisterebbe in tv alle lezioni di una ventina di ragazzini studiosi e disciplinati, o anche solo “nella norma”? I collegiali sono spesso già mezze star su Instagram o TikTok, che dalla partecipazione al programma ottengono una moltiplicazione dei loro follower e delle loro visibilità.
Un meccanismo piuttosto odioso, ma la verità è che Il Collegio è anche divertente. E l’intrattenimento in prima tv è prezioso, in questo autunno di zona rossa. Un programma leggero, ma che – al contrario di una ennesima edizione del Grande Fratello – personalmente non avrei grossi problemi a seguire con un figlio preadolescente.
Realtà e rappresentazione
“Come dico sempre ai miei studenti, non esiste una registrazione che corrisponda a verità – spiega il video maker – è tutta una rappresentazione. Nel momento in cui metto una telecamera sto falsando la verità. Questo vale anche in caso di telecamera nascosta, perché il montaggio e la regia creano il racconto, che può essere diverso da quello che si sarebbe visto in presenza”.
Nel caso del Collegio, la presenza delle telecamere è palese: “Dalle riprese si capisce che la troupe è in presenza. Come reagire di fronte alla telecamera dipende dalle inclinazioni della persona, e quindi da come è stato selezionato il cast del programma. Molti di questi ragazzi vogliono entrare nel mondo della tv e sanno che fa gioco fare il personaggio, atteggiarsi, esasperare gli atteggiamenti adolescenziali. La costruzione del programma è fatta sia dalla regia sia dai ragazzi stessi, che in qualche modo hanno interesse a volere emergere. Specie trattandosi di una generazione molto abituata a esporsi sui social, e per la quale la televisione non è che un altro social, un po’ più in grande”.
Il taglio dei capelli
Uno dei riti di passaggio all’entrata al collegio, oltre alla divisa, è rappresentato dal taglio dei capelli. Più che acconciare tutti allo stesso modo, il fine è dare alle “teste” dei teenager un aspetto più ordinato: capelli tendenzialmente corti per i ragazzi e morigerati caschetti per le ragazze. Allo stesso tempo, si tolgono tutti i piercing e viene sequestrato ogni tipo di make-up.
Va da sé che sia un momento vissuto con pochissima serenità, specialmente dalle femmine. Di fronte a urla isteriche e sceneggiate degne di miglior causa, a me e alla prof viene da ridere (un pochino ci secchiamo anche), mentre il videomaker fa notare che non si tratta certo di un imprevisto: sicuramente i partecipanti lo avevano messo in conto e quindi stanno calcando un po’ la mano.
Uno spunto più interessante viene dalla psicologa, che rivela: “Capita che io faccia sedute intere sulla tinta dei capelli. Il capello è la prima manipolazione del fattore estetico e l’immagine è fondamentale per un adolescente. Da un lato sono sottoposti all’esempio degli influencer, spesso adolescenti come loro, e non hanno la percezione di tutti i filtri fra realtà e rappresentazione. Dall’altro è un modo anche per fare pace con un corpo in trasformazione”.
Trucco e parrucco sono un modo per segnare la propria crescita, e a volte basta ricordarsene: “Io faccio spesso riferimento alla mia esperienza da ragazzina: avendo i capelli ricci era una continua lotta con mia madre, che pretendeva di pettinarmi. Io, invece, cercavo di stirarli e vivevo attaccata alla piastra. Il caschetto è il tipico taglio che ti fa la mamma da bambina, per questo un’adolescente tendenzialmente lo rifiuta. Anche il trucco è un modo per appropriarsi della propria faccia e diventare grandi, anche se spesso gli esiti sono disastrosi e le ragazze si presentano con mascheroni allucinanti. I maschi fanno la stessa cosa in modi diversi, ad esempio con rasature di capelli o piercing. Togliere il trucco è come imporre loro di tornare bambine. A 11 o 12 anni cominciano la lotta per mettersi almeno il mascara. Cosa dovrebbero fare i genitori? La soluzione migliore è la contrattazione, ad esempio ok al trucco per uscire con le amiche, ma non a scuola”.
Il metodo didattico
In teoria, molto in teoria, al Collegio si fa scuola. Si presuppone che lo si faccia con metodi “antichi”, o comunque con più severità di quanto non accada nelle aule attuali. Eppure, come ci spiega la professoressa, non è così: “Le lezioni che ho visto rappresentate sono dialogiche, c’è tanta interazione con la classe. Sembra una lezione di oggi, tecnologia a parte”.
Eppure il metodo didattico è cambiato moltissimo in questi anni: “Una volta gli insegnanti emanavano autorità con la sola presenza. Una circostanza, questa, che non si può riprodurre: sarebbe anacronistico perché è cambiata la società. Allo stesso modo gli studenti non si sarebbero mai permessi di rispondere. Non è questione di morale o altro, non è giusto o sbagliato, non è meglio o peggio, è solo tutto diverso. Mi aspettavo ci fossero professori più severi in questo programma, visto che deve compiacere chi ha lo stereotipo dei ragazzi debosciati e della scuola di una volta. Invece gli insegnanti sono blandi e i contenuti pochissimi”.
L’aspetto positivo sta nel coltivare il rapporto con gli studenti, ormai l’unico modo per fare scuola: “Un tempo gli insegnanti, e anche gli studenti, avevano un proprio preciso ruolo sociale e ciascuno faceva la propria parte senza bisogno di creare un rapporto di fiducia reciproco. Ora invece non si può prescindere dalla relazione con i ragazzi”, prosegue la prof. Ciò si vede anche dal modo di gestire i conflitti in classe: “Ho notato che il professore di geografia non ha punito subito un ragazzo indisciplinato, anche se era molto fastidioso, perché non vuole rischiare che diventi oppositivo, lo vuole tener dentro, coinvolgere. Se questo braccio di ferro funziona e il docente ha la meglio, alla fine avrà uno studente in più che lo stima e che collabora. Punire subito non è mai vantaggioso”.
Un generale appiattimento
Gli studenti del Collegio sono, in grossa parte, “asini”, con un bassissimo livello di cultura generale, scarse capacità dialettiche, zero voglia di migliorarsi. Una scelta che, confidiamo, non rappresenti la realtà scolastica italiana, se non in minima parte. Ma perché mettere in mostra i più asini? Un po’ per divertire e scandalizzare, un po’ per assecondare il meccanismo – di cui tutti siamo vittima – che ci porta a sentirci migliori quando, invece che confrontarci con i migliori, lo facciamo con i peggiori. È la ragione per cui qualunque sciocchezza riportata dai social (da “la Terra è piatta” a “il Covid non esiste”) assume una rilevanza spropositata. Ma no, certi abissi di ignoranza non sarebbero tollerati in una scuola italiana: “Qualunque studente avesse collocato Berlino in una regione italiana sarebbe stato bocciato”, assicura la prof, riguardo a non ricordo più quale castroneria.
“Anche a me sembrata un po’ marcata la loro ignoranza, mi chiedo se il montaggio non riprenda gli aspetti più low level – commenta la psicologa – Teniamo presente che i ragazzi sono in un contesto in cui vogliono apparire per la loro immagine, non per intelligenza o cultura. A volte esprimono meglio le loro doti intellettuali a livello individuale che non nel gruppo”. I ragazzi del Collegio coprono diverse età, dai 14 ai 17 anni, e non tutti sono maturi allo stesso modo: “Ho apprezzato la lezione su Falcone e Borsellino perché ha permesso di cogliere, fra gli studenti, diversi gradi di sviluppo della morale e del pensiero astratto”, conclude la psicologa.
Quello che piace molto, anche ai più piccoli (ricordiamo che Il Collegio è seguito da bambini e preadolescenti, più che dai teenager) è la rappresentazione di una realtà scolastica “immersiva”, dove la scuola e il gruppo dei pari diventano centrali nell’esperienza personale. Una scuola con le divise, dove sentirsi parte di un gruppo e vivere notte e giorno con i propri compagni. Quanto di più lontano possibile dalla Didattica a distanza. Forse nel successo de Il Collegio c’è anche un po’ di nostalgia.