Del passerotto imbalsamato conservato nella Cappella Colleoni abbiamo già parlato nel nostro itinerario per i misteri di Città Alta. Ma gli animali sorprendenti finiti in luoghi (a volte) cult della nostra città sono parecchi. Ecco come ci sono finiti e dove andare a cercare per una gita con i propri bambini all’insegna della fantasia e delle stranezze.
Fontana del Delfino
Partiamo da una meta che è nel cuore di tanti bergamaschi, visto gli sforzi sostenuti in questi giorni per riuscire a farla restaurare. La Fontana del Delfino si trova nella piazzetta di Via Pignolo che collega la Città Bassa con le Mura. La sua costruzione risale al 1526, ma non si sa molto di più: né chi la commissionò né chi sia l’autore. Nascosto dalla patina del tempo si scorge lo sguardo malizioso e sorridente di un tritone a due code di pesce, intento a cavalcare un delfino (come si immaginavano i delfini nel ‘500), dalla cui bocca zampilla l’acqua. Non uno scultore qualsiasi però, vista la qualità artistica del manufatto, che è ben riconoscibile da qualunque punto di vista si guardi l’opera. Una curiosità: sul pilastro su cui poggia la statua è rappresentata una pigna, che ricorda proprio il nome di via Pignolo: un tempo qui c’erano boschi di conifere.
Il coccodrillo di Ponte Nossa
Entrando dal portone di destra della chiesa della Madonna delle Lacrime – a Campolungo di Ponte Nossa (mezzora di auto da Bergamo) – in alto sulle nostre teste troviamo appeso un coccodrillo imbalsamato lungo tre metri. Inutili i tentativi delle autorità ecclesiastiche nei secoli scorsi di farlo rimuovere: l’animale è ospite fisso del santuario mariano almeno dal 1594, anno in cui ricevette il primo “decreto di espulsione”. Come tutti i lucertoloni, rettili, draghi e serpenti è un simbolo del maligno, infine sconfitto e sottomesso alla Madonna. Ma come è arrivato fino qui? Diverse le leggende, ricostruite da Emanuele Roncalli nel libro “Bergamo insolita e segreta”: che il coccodrillo infestasse le acque del Serio o che un mercante riuscì ad ucciderlo a Rimini dopo avere invocato la Madonna di Ponte Nossa. La storia più probabile, riportata dal sacerdote e studioso Enrico Caffi, è che il coccodrillo venne effettivamente acquistato da un mercante di Premolo e poi donato alla chiesa.
Eudi, il rettile volante
A Enrico Caffi è dedicato il Museo di Scienze Naturali in Città Alta, conosciuto da tutti i bambini bergamaschi per il mitico mammut collocato all’ingresso. Ma non è di lui che parliamo, quanto di un altro ospite illustre: Eudimorphodon Ranzii, per gli amici Eudi, ritrovato sotto forma di fossile nel 1973 a Cene. Questo esemplare è il più antico fossile di rettile volante mai ritrovato. La sua importanza è stata riconosciuta dagli studiosi di tutto il mondo, tanto che una copia di Eudi è presente al Museo di Storia Naturale di New York. Eudi misura circa 70 cm (metà costituiti dalla coda), con un’apertura alare di circa 80 cm: le grandi ali erano sostenute dal quarto dito della mano. Il suo nome rimanda alla dentatura: dal greco eu (bene, molto), di (due), morfo (forma) e odonto (dente), che significa quindi “dai denti di forma ben diversa”. Questo perché i denti anteriori erano lunghi e appuntiti, mentre quelli posteriori a cuspidi (come i nostri molari). Eudi era probabilmente pescivoro, nonché un ottimo volatore.
La “gatta” di confine
Questa è una storia affascinante, che va avanti da sette secoli e ci racconta di quanto sia antica la ruggine fra trevigliesi e caravaggini. Ma cosa c’entrano i gatti? Assolutamente nulla. Tutto ebbe inizio nel 1392 quando venne rinvenuto in una zona di confine tra i due paesi un gatèl, cioè un bassorilievo di pietra che fungeva da cippo o termine di confine. Sul gatèl – termine dialettale italianizzato in “gatta” – è in realtà scolpito un altro quadrupede: un cavallo. La storia della “gatta” contesa fra i due paesi è stata raccontata magistralmente dal già citato Emanuele Roncalli nel già citato “Bergamo insolita e segreta”.
Pare che persino San Bernardino da Siena dovette intervenire per placare gli animi, predicando la pace. Ma nonostante l’intervento del Santo, la contesa si è protratta per secoli: nel 1861 avvenne il furto da parte dei caravaggini ai danni dei trevigliesi. Ripresa, non si sa quando e come, da quest’ultimi, quasi un secolo dopo fu nuovamente sottratta dai caravaggini, che avrebbero poi chiesto per la restituzione della gatta un riscatto con duecento fiorini d’oro. Poco più di due mesi dopo, per riprendersi la gatta i trevigliesi sferrarono un singolare bombardamento di Caravaggio con galline appese ai paracadute, rotoli di carta igienica e persino un grosso maiale (come riportano le cronache de L’Eco di Bergamo dell’11 maggio 1953). All’azione goliardica seguì una decina di giorni dopo l’incursione dei trevigliesi che, ripresasi la gatta, la murarono subito su un palazzo prospiciente la Basilica (dove oggi c’è la copia). L’originale è ora al sicuro nel Museo Civico di Treviglio.
I lupi di toscana
Davanti all’ex caserma militare Montelungo è eretta una colonna dedicata ai “Lupi di Toscana”. Sul basamento dell’alta colonna bianca sono scolpiti in altorilievo tre lupi pronti ad attaccare, che proteggono una figura femminile a simboleggiare l’Italia vittoriosa avvolta nella bandiera. Ma perché i lupi? Furono detti così i fanti della Brigata Toscana (chiamata Bergamo nella Grande Guerra), che durante la Prima Guerra Mondiale conquistarono il monte Melino (Trento). A dare loro il nome di “lupi” furono proprio i nemici austriaci, messi in fuga dagli italiani. Dopo la vittoriosa battaglia sull’altopiano di Asiago, i “Lupi” fecero il voto di far erigere un monumento a ricordo dell’eroismo del loro reggimento. La colonna trionfale fu costruita a Bergamo nel 1924 su bozzetto dell’architetto Giulio Paleni