93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

10 cose da non dire a chi cerca un figlio che non arriva

Articolo. C’è chi ha di fronte a sé un percorso lungo e tortuoso per provare a diventare madre. Per evitare di renderlo ancora più pesante, meglio non dire cose stupide

Lettura 3 min.

Non ho mai provato a scrivere di esperienze che non ho vissuto direttamente, per paura di essere inopportuna. Ma, giustamente, più di una lettrice mi ha fatto notare che – parlando dei lati difficili della maternità – tralasciavo completamente chi vorrebbe, ma ha difficoltà a concepire o portare a termine una gravidanza.

La fecondazione assistita è un percorso duro, anche fisicamente, dove le colpevolizzazioni sono all’ordine del giorno. Ho quindi lanciato un piccolo sondaggio privato alle donne che hanno voluto aprirsi con me per raccontarmi in che modo avrebbero voluto essere supportate e quali sono le cose più sciocche e inopportune che si sono sentite dire. Parlo di donne perché sono quelle che si espongono di più, l’infertilità maschile purtroppo è un tabù ancora molto forte. Ma molti punti dell’elenco valgono anche per gli uomini.

«Al giorno d’oggi capita a tutti»

Qui ci sono cascata anche io, perché è vero che le coppie con problemi di fertilità sono in aumento. Questa considerazione può “consolare” chi vive questa situazione, sapendo di non essere un caso isolato, ma non deve essere usata per sminuire le sue tristezze e le sue fatiche.

«Se ci tieni sopporti tutto»

Il percorso può essere molto pesante, soprattutto per la donna, che è coinvolta fisicamente più dell’uomo (anche nei casi in cui l’infertilità è maschile). Non si possono sminuire i numerosi esami, anche invasivi, le pesanti terapie ormonali, gli interventi e le eventuali delusioni dei percorsi non andati a buon fine. Esperienze di vita faticosissime e, nella maggior parte dei casi, vissute “in silenzio”, continuando a lavorare e a svolgere le mansioni di tutti i giorni, cercando di non fare percepire nulla all’esterno nello sforzo di tutelare sé stessi e la propria privacy.

Sì, serve una forte motivazione per farlo, ma non è detto che una persona debba “sopportare di tutto” e non possa fermarsi.

«Di chi è la colpa?»

L’infertilità si definisce “di coppia”. Spesso ce lo si dimentica, attribuendo “colpe” ingiustificate, che non fanno altro che rendere più pesante e impari la situazione. Oltretutto, la parola “colpa” si commenta da sé ed è particolarmente fastidiosa perché presume il fatto di avere fatto qualcosa di “sbagliato”.

Le cause dell’infertilità sono le più diverse: se qualcuno ha voglia di confidarsi con noi ascoltiamo senza dare consigli medici e senza fare paragoni con altre situazioni, altre coppie o altri casi di cui abbiamo saputo.

«È stress, vedrai, quando non ci pensi più succede»

Questo è un evergreen che, come il nero, sta bene su tutto. È anche una delle cose più fastidiose da sentirsi dire quando si ha un problema di salute che non si riesce a risolvere, che sia un eczema, l’insonnia o il fatto di non riuscire a rimanere incinte.

Il fatto è che l’infertilità idiopatica (cioè di cui non si conoscono le cause) non è una rarità. I dati raccolti dal Registro Nazionale sulla Procreazione Medicalmente Assistita presso l’Istituto Superiore di Sanità indicano che ne sono affette il 15,1% delle coppie, ma poiché si tratta di percentuali riferite solo a chi si rivolge a tecniche di fecondazione assistita, si stima che la casistica totale possa essere più alta, fino al 25%.

Quindi, sì, potrebbe effettivamente anche essere “stress”, ma sentirselo dire non fa che aumentarlo. Inoltre, meglio non dare pareri “sanitari” riguardo qualcosa che non si conosce.

«Io non capisco perché tanti che non vogliono figli e poi magari abortiscono o li fanno crescere delinquenti restano ‘incinti’ e tu che sei una brava persona nulla»

Questa frase – che mi garantiscono realmente pronunciata – fa il paio con «Di chi è la colpa?» perché presuppone il fatto che ci sia un merito nel concepire e un demerito nel non riuscirci. Inoltre, è palesemente di cattivo gusto.

«Sono incinta… mi spiace, non sapevo come dirtelo»

Questa è una questione delicata: gravidanze, parti, neonati sono esperienze piuttosto totalizzanti, delle quali è difficile non parlare. Come comportarsi con l’amica che sappiamo avere dei problemi di fertilità? Con naturalezza, sapendo che per lei potrebbe essere difficile ma senza dare per scontato che non riesca ad essere felice per noi. Soprattutto, senza trattarla da vittima.

«È andata male? Ritenterai»

Sembra una bella frase di incoraggiamento, ma in realtà è meglio non dare per scontato che una persona voglia riprovarci. Ogni storia è a sé, c’è chi dopo uno o più “fallimenti” decide di fermarsi, per tutelare sé stesso, la coppia, la propria salute fisica o mentale.

Inoltre, in caso di aborto è una frase terribile, in particolare perché presuppone che una successiva gravidanza possa cancellarne il ricordo e renderlo irrilevante.

«Ti vedo un po’ più gonfia, ma come sei irritabile...»

Questa è una banale regola di bon ton, purtroppo spesso infranta. Meglio non fare riferimenti all’aspetto fisico delle persone, nemmeno per fare “complimenti”. Si rischia sempre di essere indelicati: quello che potrebbe essere un gonfiore da “pizza&birra” su cui scherzare potrebbe essere l’inizio di una gravidanza a rischio o il frutto di terapie ormonali piuttosto invasive.

Se non sappiamo niente, meglio tacere. Se sappiamo qualcosa, possiamo chiedere con delicatezza, ricordandoci che c’è chi non ha nessun problema a raccontare aspetti intimi della sua vita, anche per sfogarsi, e c’è invece chi preferirebbe non parlarne.

«Perché non adottate?»

Un bambino adottato non è una compensazione né un rimpiazzo e merita l’amore più totale. Nemmeno adottare è un percorso semplice, non tutti se la sentono ed è più che probabile che i nostri interlocutori ci abbiano già pensato.

«Però sei brava sul lavoro. Impegnati su quello»

Altri consigli utili, ne abbiamo?

Che fare, quindi? Ascoltare, offrire un orecchio neutro al dolore, offrirsi di aiutare, non fare pettegolezzi. Infine, ricordarci chi è la persona che abbiamo davanti. C’è chi ha bisogno di una spalla su cui piangere e chi odia essere compatita, chi si apre con più facilità e chi è più riservata, chi ama raccontare dettagli medici e chi no, chi è disperata e chi prova a fare finta di niente. Tutte scelte da rispettare, con un po’ di empatia.

Approfondimenti