«Scuola lasciata a metà, lavoro a vuoto. È il caro prezzo della dispersione»

CAPITALE UMANO. Tra Neet, precarietà e bassi livelli di istruzione, l’abbandono scolastico frena il futuro della produttività. L’analisi di Triani (Cattolica): «Chi esce dalla scuola rischia la marginalità».

C’è un momento, spesso silenzioso e imprevedibile, in cui un giovane decide di smettere di studiare. Una scelta che appare personale, ma che affonda le sue radici in una rete complessa di cause sociali, economiche ed educative. In Italia, il fenomeno della dispersione scolastica è uno specchio di queste dinamiche, un problema che, nonostante le tante riforme,

continua a rappresentare una sfida aperta. Pierpaolo Triani, professore di Pedagogia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, lo spiega con chiarezza: «Purtroppo, la scuola tende ancora a confermare le situazioni di svantaggio di partenza, anziché riequilibrarle». Eppure, ogni studente che lascia la scuola non è soltanto un dato statistico, ma una promessa infranta e un’opportunità mancata per l’intera società.

Abbandoni prematuri al 12,7%

La dispersione scolastica in Italia, con il suo 12,7% di abbandoni prematuri, è un’emergenza sociale che amplifica le disuguaglianze e impoverisce il tessuto culturale del Paese. Questo tasso, superiore alla media europea del 9,7%, evidenzia come il problema sia particolarmente acuto in alcune aree geografiche: in Sicilia, ad esempio, il tasso raggiunge il 21,1%, in Puglia il 17,6% e in Campania il 16,4%. Le regioni del Nord, invece, presentano valori più contenuti, ma il divario territoriale resta un elemento di forte criticità.

Questa emergenza educativa è al centro della ricerca «Giovani e abbandono formativo», condotta da Laura Giuliani ed Emmanuele Crispolti per l’Inapp (Istituto nazionale per le analisi delle Politiche pubbliche), che analizza le radici del problema e propone soluzioni concrete per affrontarlo. I dati sottolineano come i giovani provenienti da contesti familiari fragili abbiano più probabilità di abbandonare gli studi, poiché il disagio economico e la povertà educativa creano un circolo vizioso. Più di uno studente su cinque (il 22,5%) si trova in una condizione di fragilità rispetto agli apprendimenti: il 12,7% aveva abbandonato gli studi, mentre il 9,7%, pur avendo conseguito un titolo di studio, non ha raggiunto livelli adeguati di competenze nelle discipline di base.

Le radici della povertà educativa

«Le situazioni di disagio socio-familiare rappresentano uno dei fattori di rischio più elevati», spiega Triani, che individua tre cause principali alla base di questo fenomeno. Il primo fattore è legato alle difficoltà socio-familiari, che compromettono il rendimento scolastico e aumentano il rischio di abbandono. «La prevenzione della dispersione non può limitarsi all’interno delle aule - spiega - ma deve coinvolgere anche le famiglie e i territori, affrontando le radici della povertà educativa».

È qui che entra in gioco il secondo fattore: i limiti strutturali della scuola stessa. La rigidità dei curricula, la carenza di risorse per interventi personalizzati e l’assenza di una vera integrazione tra istruzione e formazione professionale rendono il sistema incapace di rispondere alle esigenze dei giovani più vulnerabili. Infine, c’è il fattore territoriale: l’assenza di politiche socio-educative coordinate penalizza le aree più svantaggiate, aggravando il divario tra Nord e Sud. Difatti, secondo la ricerca, chi cresce in contesti deprivati non solo ha meno opportunità, ma fatica a riconoscere il valore della scuola come strumento di riscatto.

Difficoltà di accesso al lavoro

Le conseguenze della dispersione scolastica non si esauriscono nell’ambito educativo. Vi è un nesso evidente tra abbandono degli studi e difficoltà di accesso al mondo del lavoro. I giovani che abbandonano gli studi sono più esposti alla disoccupazione e alla precarietà, con un tasso di occupazione del 39% rispetto al 74,6% dei laureati. Inoltre, il possesso di bassi livelli di istruzione comporta un maggiore rischio di contratti a termine, salari più bassi e tempi più lunghi per l’ingresso stabile nel mercato del lavoro. «La dispersione formativa - sottolinea Triani -, non è un problema isolato, ma il sintomo di una società che non riesce a garantire pari opportunità ai suoi giovani». Per comprendere appieno l’impatto sul mercato del lavoro, è utile considerare alcune statistiche rilevanti. Secondo l’Inapp, i giovani con bassi livelli di istruzione sono particolarmente vulnerabili: la percentuale di occupati tra chi ha conseguito solo la licenza media è inferiore del 18,7% rispetto a chi ha completato la scuola secondaria superiore. Inoltre, chi abbandona precocemente il sistema formativo è più esposto a contratti a termine e impieghi precari, spesso sottopagati, il che alimenta il rischio di marginalità economica e sociale. Questo scenario si traduce in costi significativi per lo Stato, sia in termini di mancato gettito fiscale sia di aumento della spesa sociale per sussidi e servizi di supporto.

Neet: 19,2% dei giovani

La dispersione scolastica non è soltanto un problema individuale, ma una questione che tocca l’intera società, aggravando le disuguaglianze economiche e ostacolando la coesione sociale. I giovani Neet (Not in Education, Employment, or Training), rappresentano in Italia circa il 19,2% della popolazione tra i 15 e i 34 anni, contro una media europea del 13,1%. Questo divario non è soltanto un indicatore di arretratezza economica, ma una barriera al progresso sociale ed educativo del Paese. Le politiche di contrasto alla dispersione richiedono un approccio integrato. È necessario un maggiore dialogo tra scuola e mondo del lavoro, rendendo l’istruzione più vicina alle esigenze del mercato e promuovendo percorsi formativi che valorizzino esperienze pratiche. Tuttavia, sarebbe un errore limitarsi a interventi meramente scolastici: «Il contrasto alla dispersione richiede politiche socio-territoriali integrate, che affrontino le reali condizioni di povertà e fragilità nei territori», afferma Triani. La dispersione scolastica rappresenta, dunque, una sfida cruciale per il futuro del Paese.

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