Il settore pubblico non attrae nuove leve. Apprendistato e dottorati, un fallimento

CAPITALE UMANO. Burocrazia lenta e salari poco competitivi allontanano la Generazione Z. Colombo (direttore Adapt): l’attrattività va costruita con percorsi chiari e prospettive concrete.

Un paradosso attraversa il mondo della Pubblica amministrazione italiana: è impellente l’esigenza di un cambio generazionale dei dipendenti per garantire la continuità dei servizi e l’innovazione amministrativa, ma i giovani sembrano evitare questo settore, forse spaventati dall’idea di una routine monotona e attratti da opportunità più dinamiche e creative.

Il problema non è soltanto percettivo, ma concreto e strutturale, come evidenziano i dati emersi dal working paper di Adapt firmato da Matteo Colombo, Giuseppina Papini e Michele Tiraboschi, che analizza il fallimento dei tentativi di attrarre i giovani della Generazione Z nella Pubblica amministrazione attraverso strumenti come apprendistato e i dottorati InPa. Dal 2021, ad esempio, solo 95 giovani sono stati coinvolti in due sperimentazioni, dato irrisorio rispetto a quello che sarebbe il reale fabbisogno del comparto pubblico.

Un problema radicato

Questo gap nasce da un problema ben più radicato: secondo lo studio, nel 93% dei bandi pubblici, la formazione ricevuta non è collegata alla possibilità di stabilizzazione, evidenziando l’inefficienza del sistema nell’attirare e trattenere giovani talenti, a differenza del settore privato, dove partnership e percorsi di inserimento sono strutturati per preparare e facilitare il passaggio nel mondo del lavoro.

«Errore nella normativa»

Su questo argomento, Matteo Colombo, direttore della fondazione Adapt, ha spiegato che «l’errore principale è l’attuale normativa sull’apprendistato, ovvero il cosiddetto “Giovsect” definito dal decreto legislativo 81/2015 che prevede l’applicazione dell’apprendistato anche nella Pubblica amministrazione, ma a condizione dell’approvazione di un decreto interministeriale concordato con le parti sociali e la Conferenza Stato-Regione. In Italia questo decreto non è mai stato approvato».

I limiti della sperimentazione

Colombo sottolinea come le sperimentazioni siano state attuate in deroga, senza la costruzione di una normativa specifica per la PA, trasformando l’apprendistato in un’esperienza solo di nome: nella prima sperimentazione, ad esempio, i percorsi per il conseguimento del dottorato in PA sono stati strutturati in modo da non dare luogo a un rapporto di lavoro subordinato, configurandosi più come tirocini, mentre nella seconda è stato proposto un contratto a tempo determinato con una componente formativa molto limitata, quasi un lungo periodo di prova.

Salario e burocrazia

A questo si aggiunge il tema salariale: le retribuzioni offerte dalla PA non sono affatto competitive, e nel caso dei dottorati, pur con una retribuzione di circa 30.000 euro lordi annui, raramente si concludono con un’assunzione stabile, motivo per il quale i giovani, una volta acquisita la formazione, preferiscono spostarsi nel settore privato, che garantisce carriere più sicure. Colombo evidenzia anche come «ideare il decreto per l’apprendistato nella PA significherebbe mettere insieme il legislatore, le parti sociali e la contrattazione collettiva per costruire percorsi realmente attrattivi, non solo in termini salariali ma anche in termini di formazione, welfare e prospettive di carriera. L’attrattività non è qualcosa che spunta all’improvviso, ma va costruita con un impegno condiviso da tutti gli attori del sistema».

Un ulteriore ostacolo è rappresentato dalla lenta burocrazia del sistema concorsuale della PA, che rallenta fino a frenare ogni velleità, a differenza di altri paesi europei, come la Francia dove nel 2023 sono stati attivati oltre 25.000 contratti di apprendistato, e da una mancanza di dialogo efficace con il mondo universitario, che si traduce in una dilagante carenza di pubbliche competenze nei giovani, rendendoli inadatti a soddisfare le crescenti esigenze del comparto.

Una lista di criticità

Alla luce di questi elementi, emerge chiaramente che il problema della poca attrattività del settore pubblico per i giovani non è frutto di un singolo fattore isolato, ma il risultato di una lista di criticità che, se non affrontate con urgenza, rischiano di allungarsi sempre di più nel tempo. Come conclude Matteo Colombo, «mi auguro che qualcosa cambi e che si valorizzi la professionalità nel pubblico impiego non solo in termini di salario, ma attraverso percorsi di formazione continua, welfare e una visione dinamica della carriera, affinché la PA diventi un ambiente attrattivo per le nuove generazioni».

Senza un immediato e concreto intervento che includa contratti più sicuri e strutturati, incentivi economici reali e percorsi ben definiti, la Pubblica amministrazione rischia di restare un’istituzione incapace di attirare le nuove generazioni, con conseguenze dirette sull’efficienza e l’innovazione del sistema pubblico nel suo complesso.

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