Giovani stranieri: un capitale umano sottoutilizzato nel mercato del lavoro

LA RICERCA Secondo il Centro Studi di Confartigianato quasi il 50% si ferma alla scuola dell’obbligo. Investire nella loro formazione è una necessità economica per colmare la carenza di manodopera

Nel panorama italiano, caratterizzato da un marcato invecchiamento della popolazione e da una persistente carenza di manodopera, i giovani stranieri rappresentano una risorsa preziosa ma, al tempo stesso, sottoutilizzata. L’ultima ricerca del Centro Studi Confartigianato evidenzia come questa fascia della popolazione, pur giocando un ruolo fondamentale nell’equilibrio del mercato del lavoro, sia penalizzata da barriere educative e formative che ne ostacolano il pieno inserimento.

Un divario educativo che pesa sul mercato del lavoro

Un dato significativo riguarda il livello di istruzione: quasi il 50% dei giovani stranieri (48,8%) si ferma alla scuola dell’obbligo, contro il 26,3% dei loro coetanei italiani. Questo divario formativo influisce direttamente sull’accesso al mercato del lavoro, dove la richiesta di competenze specializzate è in continua crescita. La conseguenza è una difficoltà strutturale per le imprese, in particolare quelle artigiane, nel reperire personale qualificato.

Il fenomeno dei NEET: una sfida cruciale

Inoltre, il fenomeno dei NEET (Not in Education, Employment, or Training, ovvero “non impegnati nello studio, nel lavoro o nella formazione”) è particolarmente rilevante tra gli stranieri: il 28,5% rientra in questa categoria, ben al di sopra della media nazionale del 21,2%. Questa situazione non rappresenta soltanto una sfida, ma anche un’opportunità per le aziende.

L’integrazione come vantaggio competitivo

Investire nella formazione e nell’integrazione dei giovani stranieri può trasformarsi in un vero e proprio vantaggio competitivo. Per concretizzarlo, come mostra la ricerca, sono necessari percorsi formativi mirati che affrontino sia le lacune educative sia quelle linguistiche, accompagnando i giovani verso un inserimento lavorativo efficace. Non si tratta solo di corsi tecnici o professionali: l’attenzione deve essere rivolta anche al potenziamento delle cosiddette soft skills, fondamentali in un mercato sempre più dinamico e digitalizzato.

Inclusione sociale e culturale: una necessità per le aziende

Un altro punto centrale della ricerca riguarda l’inclusione sociale e lavorativa. Il crescente numero di giovani stranieri nelle scuole e nelle aziende italiane solleva una domanda cruciale: le imprese sono realmente pronte a integrare questa forza lavoro? Per molte, il tema non si limita a un problema di formazione, ma richiede un cambio di paradigma nella cultura organizzativa. Favorire ambienti di lavoro inclusivi non solo riduce le barriere culturali, ma contribuisce anche a migliorare la produttività e a consolidare il senso di appartenenza dei lavoratori.

Il ritorno economico di una formazione mirata

Sul fronte economico, l’investimento in programmi di formazione per giovani stranieri può generare un ritorno tangibile. Secondo il rapporto, le aziende che implementano corsi di formazione specifici hanno riscontrato un aumento del 15% nella produttività dei lavoratori e un miglioramento della qualità complessiva delle prestazioni. Un esempio concreto viene dalle imprese artigiane, dove il passaggio generazionale è una questione critica: inserire giovani stranieri adeguatamente formati può garantire la continuità di competenze tradizionali, oggi a rischio di estinzione.

I giovani stranieri come investimento strategico

La ricerca di Confartigianato offre uno spunto chiaro: i giovani stranieri non sono un costo, ma un investimento strategico per il futuro economico del Paese. Le aziende, soprattutto quelle più colpite dalla carenza di manodopera, possono trarre enormi benefici dall’adozione di strategie mirate all’integrazione e alla formazione di questa risorsa. In un contesto segnato dalla competizione globale e dalla trasformazione dei modelli lavorativi, prepararsi a includere questa forza lavoro non è solo una scelta etica, ma una necessità economica.

Per approfondire il tema del rapporto tra AZIENDE e GENERAZIONE Z collegarsi al sito dell’Osservatorio Delta Index

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