Generazione stress, quando il lavoro è sotto il peso della salute mentale

CAPITALE UMANO. Ansia, burnout e insicurezza: il 40% dei giovani italiani tra i 18 e i 24 anni dichiara di avere problemi. Fregosi (Ipsos) presenta i dati che possono aiutare le aziende a rispondere a questa emergenza

Se il primo anno di università lo hai passato chiuso nella tua stanza per la pandemia, magari condivisa con fratelli e sorelle. Se, appena hai ricominciato a uscire, è scoppiata una guerra alle porte dell’Europa e il quadro geopolitico è diventato sempre più instabile. Se ogni giorno ascolti notizie sull’incertezza economica, sul pianeta sempre più in sofferenza, sull’accelerazione tecnologica che rende obsolete le tue (già poche) competenze. E se a tutto questo si aggiungono situazioni familiari difficili, il risultato non può che pesare sulla serenità di chi ha poco più di vent’anni. Non sorprende, quindi, che il 40% dei giovani della Generazione Z in Italia soffra di problemi di salute mentale. Una questione gravissima, che si intreccia con le difficoltà del primo incontro con il mondo del lavoro dopo la scuola. L’Osservatorio Delta Index ne ha parlato con Stefania Fregosi, Healthcare Head di Ipsos Italia, commentando i dati del Mind Health Indez per Axa e dell’Ipsos World Mental Health Day 2024.

Puoi darci un quadro generale sulle evidenze emerse dalla vostra ricerca sulla salute mentale dei giovani nel mondo del lavoro?

«Dai dati emerge che i giovani, in particolare le giovani donne, sono il target più colpito da problematiche della sfera mentale. Il 40% dei giovani italiani tra i 18 e i 24 anni dichiara di avere problemi di benessere mentale, rispetto a una media nazionale del 28%. I disturbi più diffusi includono ansia, fobie, depressione, disturbi alimentari e disturbo ossessivo-compulsivo».

Quali sono le principali cause di questa vulnerabilità?

«Le cause sono molteplici e interconnesse. Innanzitutto, c’è una forte pressione scolastica e sociale in una società sempre più orientata alla performance e alla competizione. I giovani sentono l’obbligo di eccellere in ogni ambito della loro vita, il che genera ansia e paura del fallimento. Inoltre, il contesto socio-economico attuale è caratterizzato da precarietà lavorativa e incertezze economiche, aggravate da problemi globali come conflitti e crisi ambientali.

E i social? I ragazzi ci passano tantissimo tempo...

«Certo, anche i social media giocano un ruolo ambivalente: se da un lato favoriscono la connessione, dall’altro possono aumentare l’ansia attraverso il confronto sociale e la necessità di mantenere un’immagine perfetta. Non da ultimo, gli effetti della pandemia continuano a farsi sentire, con conseguenze psicologiche a lungo termine. Un altro aspetto da considerare è la paura di perdersi qualcosa, conosciuta come “Fomo” (Fear of Missing Out), che ormai è quasi diagnosticata come una nuova forma di ansia. Questo spinge i giovani a restare costantemente connessi, alimentando uno stato di stress cronico. Inoltre, la riduzione delle ore di sonno dovuta all’uso eccessivo di dispositivi digitali può aggravare ulteriormente il loro stato di salute mentale».

In che modo tutto questo incide sulla vita lavorativa dei giovani?

«Lo stress e l’ansia hanno un impatto significativo sul lavoro. La Gen Z e i Millennials hanno registrato i più alti tassi di assenza dal lavoro rispetto alle generazioni precedenti. Un terzo dei giovani dichiara di aver sofferto di burnout negli ultimi anni, con effetti sulla produttività e sulla capacità di svolgere le proprie mansioni. Inoltre, il fenomeno del “job hopping”, ovvero il frequente cambio di lavoro, è spesso legato al benessere psicologico: i giovani tendono a lasciare ambienti lavorativi tossici o eccessivamente stressanti in cerca di un maggiore equilibrio tra vita privata e professionale».

Il job hopping non è un fenomeno più ampio che va oltre lo stress?

«Lo confermano le nostre ricerche, alcuni giovani lo fanno anche per la volontà di ampliare le proprie competenze. La Gen Z vede il job hopping non solo come una reazione a condizioni sfavorevoli, ma anche come una strategia di crescita professionale, un modo per trovare un ambiente che si allinei meglio ai propri valori e ambizioni».

Come stanno rispondendo le aziende a questa sfida?

«I giovani hanno aspettative alte nei confronti dei datori di lavoro e si aspettano supporto concreto per il benessere mentale. Molte aziende hanno implementato misure come la flessibilità oraria, lo smart working, servizi di supporto psicologico e programmi di formazione. La creazione di una cultura aziendale inclusiva e aperta è fondamentale: sensibilizzare i dipendenti e formare i manager per riconoscere i segnali di disagio psicologico aiuta a creare un ambiente di lavoro più sano e produttivo».

Esistono esempi virtuosi di aziende che stanno gestendo bene questo tema della salute mentale?

«Alcune multinazionali offrono una “settimana della salute” con screening diagnostici sul livello di stress, supporto psicologico e corsi di mindfulness. Ipsos utilizza l’App United Heroes, che attraverso la gamification incentiva i dipendenti a partecipare a sfide sportive e webinar sulla salute mentale. Coinvolgere i giovani nella progettazione di programmi di benessere aziendale si è dimostrata una strategia efficace. Altro esempio: aziende che offrono assistenza psicologica non solo ai dipendenti ma anche ai loro familiari, riconoscendo che il benessere mentale è influenzato anche dalla sfera personale. Alcune organizzazioni stanno formando i loro manager per migliorare la capacità di riconoscere segnali di disagio tra i collaboratori e favorire un dialogo aperto senza stigmi».

Come possono le aziende più piccole affrontare il problema con risorse limitate?

«Anche le piccole imprese possono fare molto. La chiave è trovare un equilibrio tra esigenze produttive e benessere dei dipendenti. Offrire anche solo una maggiore flessibilità lavorativa o creare spazi di ascolto può fare la differenza. È fondamentale comprendere che la Gen Z ha una visione diversa del lavoro rispetto alle generazioni precedenti: per loro, il benessere mentale e l’equilibrio tra vita privata e professionale sono prioritari».

Infine, come può il sistema nel suo complesso supportare la salute mentale dei giovani lavoratori?

«Serve un approccio a 360 gradi. Le scuole e le università devono preparare i giovani a gestire lo stress e le pressioni del mondo del lavoro. Le aziende devono creare ambienti più sani e inclusivi. Le istituzioni sanitarie devono garantire un supporto adeguato alla salute mentale, al pari di quella fisica. I dati parlano chiaro: il 50% delle giovani donne ha vissuto episodi di depressione nel corso dell’ultimo anno. Ignorare questa situazione non è un’opzione».

Per approfondire il tema del rapporto tra AZIENDE e GENERAZIONE Z collegarsi al sito dell’Osservatorio Delta Index

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