Aziende più attrattive e autentiche
Come imparare a farsi scegliere

GENERAZIONE Z. Il nuovo employer branding: le imprese devono essere luoghi in cui i giovani vogliono lavorare, non solo dove devono lavorare

Le aziende stanno affrontando la sfida di coinvolgere la Gen Z nel processo di selezione puntando su trasparenza, piattaforme digitali e crescita professionale. Il cambio di approccio al lavoro da parte dei giovani under 27 ha messo in crisi un meccanismo che finora aveva funzionato abbastanza linearmente.

Employer Branding

Innanzitutto, prima ancora di parlare di selezione, bisogna affrontare la questione “attrattività” attraverso l’employer branding, cioè la reputazione che un’azienda costruisce come datore di lavoro: dalle ricerche dell’Osservatorio Delta Index è più volte emerso come una buona presentazione, oggi, sia richiesta non più solo a chi si candida ma anche a chi vuole assumere. Questo sia per via della carenza di lavoratori qualificati - e quindi della necessità di trovare candidati urgentemente -, sia per permettere alle due parti di scegliersi l’un l’altra. Perché la scelta, oltre che vicendevole, sia anche consapevole.

Questo passaggio è fondamentale e lo confermano tutte le società di consulenza che affiancano le aziende in questo percorso complesso, proprio come quella in cui lavora Chiara Moioli, general manager di Multi, società di consulenza di Bergamo. «Serve trasparenza nella comunicazione – conferma senza dubbi Chiara - solo in questo modo il candidato lavoratore sa cosa aspettarsi dall’azienda e decidere coscientemente di inviare la propria candidatura a un’impresa nei cui valori possa rispecchiarsi e che considera come un potenziale luogo di crescita».

Strumenti

I social media, grazie alla loro potenza comunicativa su larga scala, sono prepotentemente entrati a far parte degli strumenti di selezione e attrattività delle risorse umane, imponendo un aggiornamento costante dei profili, tanto che, sempre più spesso, si rende necessario l’intervento del social media manager: LinkedIn, Glassdoor, Instagram, Facebook sono solo alcuni esempi di come le aziende si raccontano e ricercano oggi.

Ma «la prima vetrina deve rimanere l’azienda - sottolinea Chiara - è necessario che quanto si racconta corrisponda al vero perché tutto questo sforzo divulgativo perde di senso quando viene a mancare l’autenticità. Solo così si possono coinvolgere attivamente i giovani nella selezione.

Proprio in questa direzione va anche la scelta di aprire concretamente l’ufficio agli studenti, sia attraverso workshop sia con percorsi di PCTO (ex alternanza scuola lavoro), tirocini curricolari universitari e aiuto nella stesura della tesi».

Chiara Moioli sostiene tra l’altro che durante queste esperienze si debba cogliere l’occasione per far capire ai ragazzi che in primis il posto di lavoro può essere un ambiente in cui è bello stare, e poi che in qualunque fase del percorso si trovino hanno la possibilità di sbagliare e di cambiare idea. Questo è particolarmente importante per i più giovani, che, spesso spinti dai genitori, devono sapere di poter intraprendere un percorso diverso, a patto di mantenere passione e curiosità.

Risultati ed employee retention

Il principale risultato che la general manager ricollega a questa attività è un’ottima retention e racconta che le ultime lettere di dimissioni che ha firmato «erano motivate da esigenze personali, non da una mancata corrispondenza con l’azienda».

Effettivamente, tale “employee retention”, che consiste nella capacità di un’azienda di trattenere i propri dipendenti nel tempo, non si realizza solo con la scelta del candidato ma con un’attività che deve essere durevole nel tempo e che riguardi tanto le new entries quanto le vecchie leve. Si fonda sulle cosiddette 3 R, cioè Rispetto, Riconoscimento e Ricompensa, e mira alla costruzione di un ambiente di lavoro positivo in cui collaboratori si sentano ascoltati e rispettati. Innanzitutto si devono inquadrare le esigenze del candidato, che vengono richieste sin dal primo colloquio, in modo da contemperarle con quelle dell’azienda: le principali sono oggigiorno flessibilità, smart working e formazione, che ormai (quasi) ogni impresa offre.

«Serve trasparenza nella comunicazione, solo in questo modo il candidato lavoratore sa cosa aspettarsi dall’azienda e decidere coscientemente di inviare la propria candidatura a un’impresa nei cui valori possa rispecchiarsi e che considera come un potenziale luogo di crescita»

Dopodiché, può risultare utile premiare i dipendenti per i propri successi e coinvolgerli attivamente nelle decisioni aziendali, a diversi livelli. Chiara Moioli illustra a tal proposito il progetto “Ulisse”, portato avanti nella società in cui lavora: «Periodicamente tutti cambiano ufficio, in modo da avere sempre una postazione di lavoro diversa e conoscere i colleghi in maniera originale». Un altro programma interessante è quello delle “Multi breakfast”, colazioni organizzate una volta al mese con figure d’ispirazione che illustrano la propria esperienza e il proprio lavoro.

Conclusioni

Valorizzare la persona: questo dunque è il miglior metodo per coinvolgere i giovani nel processo di selezione, e poi per la employee retention. È questo il momento di capire che, al di là dei risultati professionali e delle tecniche aziendali, si deve vedere l’essere umano dietro al candidato o al dipendente, per prendersene cura, farlo crescere, e quindi, poi, cooperare serenamente e proficuamente. «Soprattutto quando si hanno dei talenti tra le mani, non li si devono trattenere, ma si deve fare in modo che siano loro a scegliere di rimanere con noi, perché convinti che sia il posto giusto in cui stare». E conclude Chiara Moioli «si deve smettere di pensare che l’azienda sia una famiglia che capita causalmente, perché l’azienda è una comunità a cui si decide di prender parte».

Per approfondire il tema del rapporto tra AZIENDE e GENERAZIONE Z collegarsi al sito dell’Osservatorio Delta Index

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