Pronipote riabilita il brigante Pianetti
«Portato alla disperazione da altri»

Un secolo fa, per l’esattezza il 13 luglio 1914, in Val Brembana l’ex emigrante, albergatore, imprenditore Simone Pianetti uccide, nello spazio di un mattino (poche ore), ben sette persone. Il pronipote di Simone, Denis Pianetti ora lo riabilita.

Un secolo fa, per l’esattezza il 13 luglio 1914, in Val Brembana l’ex emigrante, albergatore, imprenditore Simone Pianetti uccide, nello spazio di un mattino (poche ore), ben sette persone. Il pronipote di Simone, Denis Pianetti nato a Ponte san Pietro nel 1977, laurea in Lingue a Bergamo, ha accuratamente ricostruito tutta la vicenda, nel libro «Cronaca di una vendetta» (Corponove), uscito in occasione del centenario. Lo presenterà oggi pomeriggio, dalle 18,30, alla libreria Ibs.it di via XX Settembre, 78 a Bergamo.

«Il volume - racconta Denis - nasce dai racconti di famiglia, suffragati da quasi quindici anni di ricerche». È la storia di un uomo «portato alla disperazione dai compaesani». Pianetti, rientrato da New York a fine Ottocento, ha «visioni imprenditoriali piuttosto ampie», ma si ritrova in una Valle Brembana «ancora molto arretrata». A Camerata Cornello apre una locanda con annessa sala da ballo. La cosa viene percepita come peccaminosa. «Il parroco del paese, don Camillo Filippi, fa di tutto per far chiudere il locale». Pianetti aspira a entrare in consiglio comunale, ma gli viene impedito.

Chiusa la locanda, si trasferisce a San Giovanni Bianco e impianta un mulino elettrico, uno dei primi in valle. Si scontra con la superstizione: «Un po’ come il treno: macchine infernali». Una contadina si ammala di pellagra, accusa la farina del Pianetti di essere la causa: «La farina del diavolo». L’attività va tutta in crusca, il mulino viene chiuso.

Non bastasse, uno dei figli si ammala di appendicite, non riconosciuta dal medico del paese. Degenera in peritonite, il ragazzo viene portato d’urgenza all’ospedale di Bergamo. Costo: «Due biglietti da mille», cifra molto importante per l’epoca. «Tutto confermato dalla figlia di Aristide», il ragazzo malato, che era stato in punto di morte.

La mattina del 13 luglio il percorso della vendetta, la caccia, lui valente cacciatore di camosci, di quelli che vede come causa del suo tracollo. Uccide per primo il medico condotto, dottor Morali, il segretario comunale e la figlia Valeria Giudici, il giudice conciliatore Giovanni Ghilardi; sul sagrato della chiesa il parroco Filippi, poi il messo comunale e una contadina. Non riesce a scovare diversi degli obiettivi del suo furore. Tra questi il notaio Arizzi, «nonno del giudice Guido Galli», poi assassinato dalle Br. Pianetti, in realtà, aveva una lista di decine di persone che avrebbe voluto ammazzare. Fu trovata dalla moglie, dopo i fatti, in una tasca della sua giacca.

La notizia fa il giro del mondo, finisce sui giornali di tutta Italia, ma anche europei, americani (tra gli altri, il «Washington Post»), australiani, di Buenos Aires. Un criminologo e scrittore angloamericano, amico intimo di Conan Doyle, ne ricava un racconto che dedica appunto al padre di Sherlock Holmes, pubblicato a Londra nel ’27: «Il cacciatore di camosci». A San Pellegrino uno studio fotografico trae dalla vicenda alcune cartoline che si diffondono in tutto il paese. Si scatena un turismo macabro da far invidia a Cogne. Per sapere come è finita, non resta che ascoltare, alla Ibs.it, il racconto del pronipote.

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