Il Natale di Eduardo si fa monologo
Grande prova di Fausto Russo Alesi

«Natale in casa Cupiello», fino a domenica al «Donizetti»: due ore senza intervallo, per tutti e tre gli atti del dramma

Solo. L’attore è solo, in palcoscenico. Come Luca Cupiello, solo nella vita e in famiglia. Come tutti i personaggi di Eduardo De Filippo, non soltanto in «Natale in casa Cupiello». Se si considera questo – e si dà un significato a una scena che emerge dal buio del palco e nel buio ritorna, alla fine – la scelta di Fausto Russo Alesi è perfettamente logica. Consequenziale. Di quelle che ci si chiede perché nessuno abbia osato provarci prima, a concepire un progetto così. Parliamo della scelta di recitare da solo l’intero dramma di Eduardo, come se «Natale» fosse un unico monologo a più voci.

Fausto Russo Alesi ha colpito nel segno. E al tempo stesso ha toccato il pubblico del Teatro Donizetti: più che gli applausi e le «chiamate» finali, conta la densità del silenzio, la concentrazione con cui gli 810 spettatori del debutto di martedì sera hanno seguito lo spettacolo. È questione di densità drammatica. Di una soluzione scenica estrema – tutti i personaggi, anche quelli femminili, in un solo attore – che diventa chiave interpretativa nuova. Di una sofisticata tessitura di gesti, pause, posture, intonazioni. E anche di una prestazione «atletica» rara: due ore senza intervallo, per tutti e tre gli atti del dramma, senza mai perdere il filo della tensione drammaturgica. Non è la prima volta che Russo Alesi – gli esordi con Atir, anni in scena con Ronconi – conquista con sfide del genere. Ricordiamo «Natura morta in un fosso» di Fausto Paravidino, in cui interpretava tutti i nove personaggi. O monologhi come «Il grigio» di Giorgio Gaber e Sandro Luporini, che osò portare al Piccolo di Milano poco dopo la morte del signor G. O, ancora, lo psicotico «20 novembre» di Lars Noren. Ma «Natale in casa Cupiello» realizza un salto di qualità: per l’economia espressiva, per l’esattezza dei micromovimenti, per la raffinatezza dei toni.

Il punto è che questo Eduardo - attraversato in solitaria su una pedana inclinata che rappresenta il frammento di un palcoscenico, una specie di zattera del naufragio di un teatro scomparso, con pochi oggetti e nessun cambio d’abito o di scena – apre Eduardo a nuovi sensi. E al tempo stesso ne esalta l’amaro fondo: l’incomunicabilità, la solitudine, lo scacco dell’esistenza. Precipitati nel corpo e nella voce di un solo attore, i dialoghi si rivelano per quello che sono: soliloqui che non s’incontrano mai, se non per accidente.

I personaggi diventano le «voci di dentro» e i «fantasmi» di un’unica mente allucinata, ma lucidamente attenta alla realtà delle cose. E l’umorismo del dramma torna ad essere quello che è: la chiave d’accesso al sentimento tragico del Novecento, nell’unica forma possibile. Applausi. Fino a domenica 13 marzo. Info: www.teatrodonizetti.it, telefono 035/4160678.

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