È tra le 100 persone più influenti al mondo
Rosemary Nyirumbe stasera a Nembro

Quando nel 2014 il prestigioso settimanale americano Time l’ha inserita nella lista delle 100 persone più influenti del mondo, insieme a lei c’era una sola altra personalità cattolica: papa Francesco.

Suor Rosemary Nyirumbe, un tempo ostetrica, oggi educatrice alla Saint Monica School di Gulu, in Nord Uganda, è una piccola, grande luce che brilla nel buio dell’Africa, terra troppo spesso oscurata da guerre, carestie, violenza e miseria. Questa religiosa ugandese è protagonista di un miracolo conosciuto in molte parti del mondo grazie alla stampa: in una decina di anni ha accolto e riabilitato oltre 2 mila ragazze e bambine che erano state rapite, rese schiave sessuali, baby soldatesse dai ribelli dell’LRA, il Lord Resistence Army, guidato da Joseph Kony, uno dei più feroci terroristi del mondo.

Questa sera suor Rosemary porterà la sua testimonianza a Nembro su invito della cooperativa Gherim dopo essere stata una dei protagonisti del 1° Festival della Missione, tenutosi lo scorso weekend a Brescia. L’appuntamento per ascoltare suor Nyirumbe è alle ore 21 all’Auditorio Modernissimo in piazza Libertà. «Africa, la speranza è un volto di donna»: questo il titolo dell’evento a ingresso gratuito. Sarà anche l’occasione per conoscere il libro che ne racconta la vita, Rosemary Nyirumbe. Cucire la speranza. La donna che ridà dignità alle bambine soldato (Emi).

Suor Rosemary, come ha conosciuto il dramma delle bambine soldato?
«Quando sono diventata direttrice della scuola di Santa Monica a Gulu non ero sicura di essere tagliata per quel ruolo. Non conoscevo le storie che si celavano dietro le trenta fanciulle che frequentavano la nostra scuola. Fu Jewel, una delle ragazze lì ospitate, che per prima mi rivelò il suo segreto. Non mi guardava mai negli occhi e allora un giorno le chiesi perché: ero così brutta da spaventarla? Lei rise e mi disse che in realtà gli occhi le facevano male a causa di tutta la polvere da sparo che aveva dovuto sopportare nei nove anni al servizio del Lord’ s Resistance Army».
E così furono le stesse ragazze ad aprirle gli occhi…
«Dai racconti di Jewel mi si aprì un mondo di orrori subiti che mai avrei pensato di dover un giorno accogliere, ascoltare, rassicurare. Erano state strappate dalle loro famiglie e dalla scuola, costrette ad uccidere i genitori per tagliare tutti i ponti con le loro famiglie e i loro villaggi».
E allora come ha pensato di aiutarle?
«Ho insegnato loro quello che sapevo fare: il taglio e il cucito, e il cucinare. Le ho portate con me al mercato, in mezzo alla gente che le rifiutava, perché erano state le “bambine soldato” e le “mogli” (ovviamente costrette) dei ribelli. Hanno imparato a farsi accettare, a farsi amare. Grazie alla scuola di sartoria hanno trovato lavoro. Gli orrori che sono state costrette a commettere fanno parte di un atroce passato che deve essere cancellato dalle loro vite. Queste ragazze devono credere di nuovo nel futuro, ritrovare la speranza, che fu loro strappata nel cuore della notte».
Quale è stata la storia che in questi anni l’ha più colpita?
Sharon oggi è una donna bellissima, è sposata, ha due figli. Ma in passato venne rapita per diventare una delle 60 “mogli” del capo dei ribelli, Kony. Sharon mi raccontò un giorno un fatto di una crudeltà assurda: quando arrivarono ad un fiume, i miliziani le dissero: per attraversare il fiume hai due scelte, o noi uccidiamo te o tu uccidi tua sorella, che lei portava sulle spalle. Ed è stata costretta a farlo. Solo grazie alla vicinanza, all’amore, all’accoglienza che le abbiamo dato, io e le mie consorelle, alla Saint Monica School Sharon ha potuto ricominciare letteralmente a vivere. Ed oggi porta avanti una sua attività di lavoro come sarta.
Lei ama ripetere che la fede è meglio praticarla che predicarla. Una frase che sicuramente piacerebbe molto a papa Francesco….
«Io sono convinta che la gente oggi non sia più tanto disposta ad ascoltare le nostre prediche di preti e di suore. La gente ha bisogno di sentirsi accolta, amata, ascoltata e abbracciata. Questo è quello che mi succede e mi è successo con le mie ragazze in Nord Uganda. A queste ragazze che avevano vissuto drammi terribili non potevo parlare di Dio in maniera astratta, ma dovevo far loro vedere e toccare con mano che Dio era un padre e una madre che si prende cura di tutti, in particolare di chi soffre e non ha nient’altro che la sua misericordia sui aggrapparsi. E penso che tanti anche in Occidente abbiano bisogno di questa vicinanza e di questa prossimità, più che di tante parole, che spesso sembrano vuote e lontane».

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