Da marzo jazz d’artista al Paprika di Dalmine

Un mese di marzo decisamente interessante, quello prospettato dal cartellone del Paprika, jazz club di Mariano di Dalmine che martedì prossimo, 2 marzo, sfodererà un duo di grande valore. Fianco a fianco sul palco del locale bergamasco suoneranno il sassofonista Andy Sheppard e la pianista Rita Marcotulli. Fulminante l’avvio di carriera del sassofonista inglese Andy Sheppard, che dal 1987, epoca del primo album a suo nome, ha in breve volger di tempo inanellato collaborazioni con le migliori e più avventurose orchestre jazz internazionali, quelle di Carla Bley, Gorge Russell e Gil Evans. In parallelo Sheppard ha inseguito la fusione tra l’eredità coltraniana e la commistione con ritmi e sonorità più immediate, tra seduzioni etniche e groove funk.

Rita Marcotulli, dal canto suo, che forse molti ricordano artefice a Clusone jazz di un intenso ed emozionate omaggio a François Truffaut, vanta collaborazioni di grande prestigio, da Pat Metheny a Pino Daniele, da Billy Cobhama a Enrico Rava, da Joe Lovano a Peter Erskine. Solista delicata, ha lavorato spesso all’estero, risedendo a lungo in Svezia.

In bella successione si potrà poi ascoltare il nuovo quartetto di Roger Rota (9 marzo), uno dei più interessanti jazzisti bergamaschi, che presenterà in anteprima il nuovo album «Keep the groove», un progetto dedicato alla musica dei Weather report del batterista di Enrico Rava U. T. Gandhi (il 16), il quartetto di Luca Sala (giovedì 18), chitarrista bergamasco che si è trasferito in Germania per proseguire la sua attività musicale, l’ensemble del trombettista Giovanni Falzone (il 23) e il quartetto del pianista e compositore bresciano Corrado Guarino (il 30). Dunque una bella proposta concertistica che prosegue la serie appena conclusa con il concerto di Ben Sluijs, ascoltato martedì scorso.

L’altosassofonista belga, nato ad Anversa nel 1967, si è proposto l’altra sera a Mariano di Dalmine in compagnia di Manolo Cabras, contrabbassista sardo da anni residente nei paesi bassi, e di Eric Thielemans, batterista.

Sluijs è stato selezionato l’anno passato per rappresentare il suo paese all’Euro jazz festival e ha alle spalle, oltre ad una solida formazione classica, anche quattordici realizzazioni discografiche. Un concerto interessante, quello proposto dai tre, condotto sul filo dell’originalità ed aperto non a caso con un brano, «The blessing», tratto dal repertorio di Ornette Coleman. Pur nel solco tracciato dal grande innovatore di Fort Worth, Sluijs cerca una conciliazione tra libertà espressiva e atteggiamenti cool. Il suo suono, soprattutto nel primo set, leggerissimo e in filigrana, sovente in secondo piano e minacciato dalla pur contenuta sezione ritmica, e il suo agile e melodico fraseggio, fanno pensare alla grazia di un Paul Desmond o di un Lee Konitz prima maniera. Un tratto così insistito da condizionare talvolta gli sviluppi stesso della musica. Eppure, coadiuvato dai suoi due ottimi compagni di strada, Sluijs adotta questo stesso mood generando contesti improvvisativi assai più informali, tonalmente indefiniti o sfuggenti. Esemplare il blues finale con il quale ha chiuso il primo set, in sfuggente equilibrio tra i vincoli ritmici e armonici del canovaccio, e il delicato standard offerto in chiusura.

(27/02/2004)

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