Buon 40° compleanno agli U2
La storia del rock in 7 brani - Video

Era il 20 settembre 1976 quando in una bacheca della Mount Temple School di Dublino qualcuno attaccò un messaggio...

Era Larry Mullen, batterista alla ricerca di compagni d’avventura per formare una band. Risposerò in 3 all’appello: Adam Clayton, David Howell Evans e Paul Hewson. Se gli ultimi nomi vi dicono poco, quell d’arte vi apriranno un mondo: stiamo parlando di The Edge e Bono Vox, in una parola sola, gli U2. Forse la più grande rock band degli ultimi anni, di sicuro tra le più longeve e conservatrici, considerando che la formazione è ancora quella originale: decisamente una rarità nel mondo della musica.

Dopo anni di prove in cantina, tour nei pub e demo, nel 1980 arriva il primo album. E che album. Si chiama «Boy», e contiene un pezzo che diventerà un classico della band irlandese: «I will follow».

Due anni dopo è il turno di «October», dai tratti più sofferti, quasi intimi: una grande prova di maturità per una band comunque giovanissima. L’anno dopo è il turno di un album devastante come «War» e di un brano pazzesco e drammatico: «Sunday bloody sunday».

Nel 1984 l’incontro con Brian Eno e Daniel Lanois e la consacrazione mondiale con «The unforgettable fire», lanciato da un altro pezzo che diventerà epico: «Pride».

Nel 1985 partecipano al «Live Aid» a Londra, e la loro versione di «Bad» è pazzesca. Bono scende tra il pubblico e l’esecuzione si protrae per oltre 10 minuti, con un infinito riff di chitarra. Mullen, Clayton e The Edge non erano felici di quello che era successo tra Bono e la folla e soprattutto pensavano fosse stato un peccato non aver potuto suonare la loro hit principale, Pride. «Ci siamo sentiti come se avessimo perso la nostra possibilità di essere grandi», ha detto Mullen. «È‘stata una grande giornata, ma ho pensato che forse avevo forzato troppo la mano», ha ammesso Bono. E invece quell’esecuzione per molti resta il momento più incredibile di un concerto incredibile di suo, e li consegna alla storia.

L’anno dopo esce forse il loro album più importante: «The Joshua Tree». Il più maturo e completo, uno di quelli da portare nella classica isola deserta. «With or without you» è il brano simbolo, ma è davvero difficile scegliere il pezzo più bello di questo autentico capolavoro.

«Rattle and hum» (1988) segna il termine della fase più rock, da lì in avanti i 4 irlandesi sperimentano a 360 gradi, con puntate «techno» e album cone «Zooropa» e «Pop», molto discussi. Ma alla fine la differenza la fanno sempre brani intensi e «puliti» come «One» del 1991, tratta da un altro gioiello della band: «Achtung baby».

L’ultimo lavoro è del 2014, si intitola «Song of innocence» e colpisce molto anche i fan della prima ora.

A breve è atteso «Song of experience», che segnerà i 40 anni di una band che ha lasciato il segno nella storia del rock: «L’ultima band della quale tutti si ricorderanno i nomi» ha sentenziato uno come Bruce Springsteen. E se lo dice lui...

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