Boni-Caravaggio sul piccolo schermo Rai
E c’è anche Maurizio Tabani

Alessio Boni si traveste da biglietto da centomila lire (ricordate?) e fa vedere di essere un ottimo attore. Se Caravaggio, di cui Raiuno ha mandato in onda ieri sera la prima puntata (stasera, ore 21,10, la seconda e ultima), avrà il successo che tutti pronosticano, sarà soprattutto merito suo e di Vittorio Storaro, direttore della fotografia. L’attore bergamasco ci mette la faccia, truccata con i baffi e il pizzo dell’iconografia tipica del pittore caravaggino, e soprattutto ci mette la sua bella naturalezza, quella capacità di dare senso e credibilità a qualunque storia reciti. Il premio Oscar Storaro ingaggia invece la sfida delle sfide: «doppiare» in una fiction-tv la luce dei quadri di Caravaggio, certi bagliori di scorcio, certi tagli.

Cadenze orobiche
Va meglio – per quello che si è visto e che vediamo mentre scriviamo – all’attore, che qua e là si piglia pure il gusto di sfarinare la sua dizione d’Accademia per lasciar riaffiorare certe cadenze orobiche: Boni è di Villongo e l’inflessione della Bassa è diversa, ma va bene lo stesso, basta che lo spettatore avverta una ben diluita nota lombarda. Il direttore della fotografia ha invece una bella gatta da pelare. Le scene d’interno sono belle quando non bellissime: certi bianchi-calce su cui si staglia la scala cromatica delle figure, i riflessi rossastri dei primi piani, la nervosa mobilità della luce delle inquadrature ristrette su due o tre personaggi. In altri casi, la regia insiste a voler ricreare l’effetto anche in «esterni», e qui il gioco si fa difficile, per non dire lezioso. Il cinema non è pittura in movimento, la fiction-tv spesso non è neppure cinema. Ma l’insieme è in realtà persuasivo: il volto e la secca recitazione di Boni, con la fotografia di Storaro, danno compattezza e coerenza allo sceneggiato, anche più della regia di Angelo Longoni, che non rinuncia qua e là a una certa maniera calligrafica. La tentazione, evidentemente, era troppo forte, e per molti buoni motivi: Caravaggio ha il prestigio del genere, la fiction in costume; è la grande produzione Rai della stagione, dopo Guerra e pace (anche qui con il lanciatissimo Boni); ha per oggetto la biografia di uno dei pittori più ricercati dal pubblico delle mostre e dei musei d’arte; si confronta con la storia stessa della Rai, lo sceneggiato del 1967 con Gian Maria Volonté.

C’è anche Maurizio Donadoni

Che Caravaggio sia una produzione ambiziosa lo dimostra anche il cast. Per una volta, la Rai non ha lesinato e ha cercato e ingaggiato attori veri. Tanti, tantissimi: circa novanta, tra italiani, spagnoli, francesi e tedeschi (questa è una coproduzione internazionale), e tutti a prima vista all’altezza, come Jordi Mollà (il cardinale Del Monte) o Elena Sofia Ricci (Costanza Colonna). Ma non sospettateci di campanilismo se diciamo che a colpirci è lo sguardo obliquo e un poco gigione dell’altro bergamasco Maurizio Donadoni: poco si sa di Ranuccio Tommasoni, in realtà, se non che fu parassita e lenone, e bestia nera di Caravaggio. Ma la fisicità carnale di Donadoni ha una presenza scenica che ben si sposa a quella di Boni, e che esce dal quadro preciso e compunto della fiction. Già, la fiction. Alla fine nulla si è ancora scritto della storia. Sulla sua fedeltà biografica (ma la biografia del Caravaggio ha ancora zone oscure) non ci pronunciamo. Qui basti dire che la tv, e la Rai, e la prima serata, impediscono di toccare i punti controversi, se non di striscio: le presunte omosessualità o bisessualità del pittore e della sua cerchia; la violenza delle strade romane; la palpitante e miserabile Roma del tempo, tornata centro culturale del mondo; l’asprezza e la corruzione della lotta politica. In realtà una fiction, per quanto biografica, è pur sempre un’opera di finzione, e conta altro: la fluidità narrativa, la capacità di appassionare. Che qui ci sono, con uno stile narrativo a salti e frammenti, che attrae.(18/02/2008)

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