A Orio torna il rock goliardico
Giovedì 17 «Charlie & The Cats»

Quando la musica non conosce steccati e sorride alla vita, entrano in scena i Cats. Anzi, rientrano in scena. Charlie & The Cats, per dirla tutta. Dove «gatti» nel gergo americano significa anche musicisti eclettici, capaci di incrociare generi diversi.

Quando la musica non conosce steccati e sorride alla vita, entrano in scena i Cats. Anzi, rientrano in scena. Charlie & The Cats, per dirla tutta. Dove «gatti» nel gergo americano significa anche musicisti eclettici, capaci di incrociare generi diversi.

La band bresciana si è ricomposta alla fine del 2013 dopo quindici anni (nata nel 1990, si sciolse nel ’98 dopo sei dischi) e ora, con lo spettacolo «Charlie The Cats Reunion», presenta nei locali il suo nuovo album «Young, strong and free». Giovedì 17 aprile (inizio alle 22,30, ingresso a 10 euro) suonano all’Hangar 73 di Orio al Serio (in via Galilei 2).

Rock, all’occorrenza venato di country, blues e qualche escursione swing. Ma soprattutto giovani (a dispetto dell’età anagrafica), forti (ad alta gradazione goliardica) e liberi (di cantare quel che vogliono, a costo di essere irriverenti-gaudenti, senza magari esagerare nei toni): Charlie (all’anagrafe Giancarlo) Cinelli, 56 anni da Sarezzo, voce e chitarra; Alan Farrington, 63, inglese cresciuto a Roma per poi trasferirsi a Brescia, voce e basso; Cesare Valbusa, 52, da Bardolino (Verona), batteria. Un power trio affiatatissimo e spassoso. Tre mattacchioni che suonano come si deve e divertono perché si divertono.

«In questi anni ognuno ha seguito la propria vocazione solistica - racconta Cinelli, che puntualizza di non sentirsi leader di un gruppo dove tutti stanno alla pari, anche nella composizione di musica e testi - ma ci siamo sempre tenuti in contatto. È bastato trovarci a cena al mio paese e scambiarci dei pezzi da ascoltare per far scattare l’idea di riunire il gruppo». Era dicembre. Tempo due mesi e hanno preso forma le nuove canzoni (11 tracce).

La filosofia è sempre quella: «Mai prendersi troppo sul serio». Come in «Di meno», un brano che sembra uscire dal repertorio degli Skiantos («Lavoro di meno, guadagno un po’ meno, ho staccato la tele e il giornale non lo compero più, dormo sereno (...). Ho perso del peso, son più bello e disteso (...) sì mi godo la vita, tanto corri corri corri e mentre sudi è già finita»). «Eppure non seguiamo un’ispirazione precisa, certe volte i testi servono solo a completare uno spartito che ci piace. Le parole a corredo della musica, che in questi casi viene prima».

E che musica quando senti un riff hendrixiano come quello di «Si può fare», storia di una notte da vivere al massimo. Poi c’è «Andare» che con bonaria ironia suona come il manifesto dei cinquantenni in fuga, spinti dall’«ormone migratore». I gattacci bresciani tentano anche di graffiare con «Mister B», denuncia dello «strapotere» mediatico di Silvio Berlusconi.

Cantano in italiano, in inglese («Fuck the g», cioè gouvernement, scritta dalla cantautrice australiana Eleanor Lyons in polemica con il proprio governo, ma «un andate a quel paese che si adatta anche al nostro»), in napoletano («Ciccio») e in bresciano («Lungubard»), là dove la scelta del dialetto li avvicina al comasco Van De Sfroos e al bergamasco Bepi. «Giacché c’eravamo, in aggiunta all’ultimo lavoro abbiamo pubblicato una raccolta con 18 canzoni del nostro passato rimasterizzate», informa Cinelli. Titolo emblematico: «I rimaster». E avanti in fila per due.

Andrea Benigni

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