«Tzenetzil, il sistro d’argento. Luoghi e gente d'Eritrea» è il titolo di una mostra di circa 40 immagini a colori (40x80) scattate pochi mesi fa dal fotografo bergamasco Gianangelo Chiodi. La manifestazione si svolge fino al 14 giugno nella Chiesa Vecchia di Calusco d’Adda. Lo strumento musicale che ritma la preghiera e dà il titolo alla mostra è il simbolo di un’unione spirituale tra etnie e fedi diverse in uno splendido Paese, da tempo in difficoltà. Gli italiani conservano un legame profondo con questa terra (parte con l’Etiopia della coloniale Abissinia), ancorché dissimulato ed spesso negato, e l’esposizione indirettamente lo testimonia, diventando memoria collettiva da non rimuovere.
Per il suo valore simbolico, nel rispetto dei morti ed orgoglio e fiducia nelle nuove generazioni africane. La mostra è un atto d’amore, che vuole accendere i riflettori su un’Africa martoriata, stimolando momenti di riflessione non solo religiosa. E’ il tintinnare del sistro (tzenetzil) che deve svegliare il mondo dal letargo. I defterà, maestri del canto liturgico intanto accompagnano i riti con i loro tamburi cubarò. Le donne avvolte nei bianchi veli si recano in chiesa alle cinque del mattino I copti pregano circa sette volte ai giorno. La liturgia ricca di processioni, musiche e danze è un coacervo di antichi riti egizi a cui si affiancano pratiche religiose in atto dai tempi di Costantino, influenze islamiche, atti cari all’ebraismo ed al cristianesimo. La lingua di canti e funzioni è l’antico ghe’ez. Sostenute dalle mani dei monaci brillano le grandi croci romboidali filigranate mentre i preti anziani si appoggiano ai maqwomia, lunghi bastoni che raccontano meravigliose storie di strade e vite. A poca distanza i musulmani corrono in moschea in un clima di serena convivenza. Su tutto brilla la luce africana capace di scolpire luoghi e volti come in nessun altra parte del mondo, anche alle splendide isole Dahlak.
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