
Le avventure di Arkwright partono da un concetto semplice eppure vertiginoso: il mondo che abitiamo non è unico, esistono molteplici universi e ciascuno ospita una Terra con lievi o significative differenze. Tutte queste realtà non sono completamente separate, ma coesistono. Arkwright è tra i pochi esseri umani in grado di spostarsi da una dimensione all’altra. E grazie a questa sua capacità è stato reclutato da un’organizzazione che vigila sull’armonia del multiverso e si adopera per aggiustare anomalie e sabotaggi.
La trama è intricata e densa di riferimenti storici, con personaggi usciti dalle cronache del ‘600 e altri inventati oppure modificati. E l’illustrazione, pur nei limiti del bianco e nero, va di pari passo mutando di stile e di segno per raffigurare divise e armi, edifici e monumenti, interi scenari che attingono a piene mani dall’epoca Elisabettiana al Liberty con singolari inserti: frammenti dell’arazzo di Bayeux (fumetto ante litteram che narra la vittoria del normanno Guglielmo il Conquistatore sui Sassoni nel 1066), dettagliati paesaggi simili a dipinti e incisioni antiche e anche inedite tecniche «fotografiche». La Storia e la fantasia camminano di pari passo sulle pagine disegnate da Talbot, autore capace di intrecciare in poche vignette citazioni shakespeariane, concetti filosofici e matematici, simbologie arcane e senza per questo perdere il gusto di un racconto pieno di azione.
Dopo Arkwright, Talbot ha lavorato molto come illustratore e ha accantonato la fantascienza per affrontare ne «la storia del topo cattivo» un tema tutt’altro che facile come quello dei traumi dei bambini vittime di abusi sessuali. Anche qui è riuscito a distinguersi evitando morbosità e lacrime facili per costruire con fantasia e levità grafica un percorso di riscatto dal dolore più oscuro.
Ma il richiamo dell’avventura e dei fan ansiosi di conoscere il destino di Arkwright ha spinto Talbot ha produrre “Cuore dell’impero”: un possente racconto che prende le mosse anni dopo la vittoria dell’agente dei multiversi.
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