Pagani, 63 anni, accompagnato da due giovani in gamba come Eros Cristiani alle tastiere e Joe Damiani alle percussioni, ha tenuto il primo concerto di una tournée dedicata alla musica che l'ha ispirato negli anni e alla musica che il polistrumentista di Chiari (ma anche autore e produttore) ha scritto, dal progressive alle contaminazioni etniche, folk e jazz, fino alle collaborazioni con Fabrizio De André («Creuza de ma» e «Megu megun» su tutte) e persino a un'escursione nel dialetto bresciano («Neve de Natale»), «che è simile al bergamasco e che fin da ragazzo amavo parlare con gli amici nonostante i miei genitori in casa mi imponessero di esprimermi rigorosamente in italiano per non sembrare un contadinotto».
Pagani, non senza un velo di malinconia che ha aleggiato su tutto il concerto (ma non guastava), ha detto chiaramente che il periodo musicale per lui fantastico e formativo sono stati gli anni Settanta (e gli ultimi Sessanta), creativi e spinti dal coraggio di esplorare. Poi, da noi avvicinato in camerino, si è tolto un sassolino dalla scarpa: «Quel decennio viene etichettato solo come il momento degli anni di piombo. È riduttivo. Gli anni Settanta sono stati anche ben altro. A me hanno dato tantissimo, sono stati anni formidabili e indimenticabili».
I brani proposti da Pagani per ripercorrere quell'era del progressive sono perle storiche: da «Looking for Someone» dei Genesis (tratto dall'album «Trespass», 1970) a «Moonchild» e «I Talk to the Wind» dei King Crimson («In the Court of the Crimson King», 1969), da «Bourée» («Stand Up», 1969) a «My God» («Aqualung», 1970) dei Jethro Tull. Se un appunto è lecito a un artista del calibro di Pagani, c'è dell'audacia nell'aver scelto pezzi che nella loro versione originale si avvalevano di voci uniche come quelle di Peter Gabriel (Genesis) e Ian Anderson (Jethro Tull) ma anche il Greg Lake dei primi King Crimson non scherzava: il buon Mauro non ha le corde vocali per avvicinarli. In compenso sa come pizzicare quelle della chitarra, del mandolino elettrico e del bouzouki, per non dire dei brividi che ancora sa regalare quando impugna l'archetto del violino elettrico e della dolcezza del suo flauto.
Bella l'interpretazione di «Luglio agosto settembre nero» degli Area e quella di «Thousand Island Park» e «Miles Beyond» della Mahavisnu Orchestra. Ma il pubblico ha apprezzato anche il repertorio personale del Pagani post-Premiata Forneria Marconi: che emozione «Europa Minor» e che energia «A Dumenega», che richiama la taranta salentina.
Pagani ha chiuso con una battuta, «ora un pezzo nuovo», e un capolavoro, quell'«Impressioni di settembre» che ha diviso con la PFM dei tempi d'oro e che oggi è tornata di gran moda (ascoltatevi le riletture di Franco Battiato e dei Marlene Kuntz). Ma eseguita da lui e dalla sua band ha acceso la nostalgia e alzato un po' di pelle d'oca.
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