Da Bonate Sotto al Vajont
«Per non dimenticare»

«Gli operai e gli ingegneri racconteranno per tanto tempo ancora questa singolare avventura del lavoro umano ed avranno il vanto di dire: io c'ero!». Sono state tristemente profetiche le parole con cui Carlo Semenza, progettista della diga del Vajont, chiuse il documentario da lui voluto per immortalare l'ardito progetto.

“Gli operai e gli ingegneri racconteranno per tanto tempo ancora questa singolare avventura del lavoro umano ed avranno il vanto di dire: io c'ero!”. Sono state tristemente profetiche le parole con cui Carlo Semenza, progettista della diga del Vajont, chiuse il documentario da lui voluto per immortalare l'ardito progetto.

A quasi cinquant'anni di distanza sarà un attore bergamasco, Omar Rottoli, a ricordare ancora una volta quella maledetta diga, ma soprattutto la storia di prepotenze e irresponsabili soprusi che il 9 ottobre 1963 costarono la vita a duemila persone. Rottoli, 36 anni, vive a Bonate Sotto e da quattro anni porta in giro nelle piazze d'Italia l'orazione civile “Vajont”, scritta a quattro mani da Gabriele Vacis e Marco Paolini. Una “diretta sulla memoria” che nel 1997 incollò davanti alla TV milioni di telespettatori.

Sabato 29 settembre, alle 20.30, sul sagrato della chiesa del Sacro Cuore di Bonate Sotto, l'attore bergamasco ha in programma una nuova replica, forse l'ultima. Sarà una sorta di prova generale per la due giorni che il 6 e il 7 ottobre prossimi vedrà Rottoli protagonista sui luoghi del disastro, in occasione del presidio in diga dei “Cittadini per la memoria del Vajont”. Un evento all'insegna di un solo imperativo: non dimenticare.

“Sembra un anacronismo – spiega Rottoli - ma la storia del Vajont è drammaticamente vicina, purtroppo, al nostro presente. A fatti come il terremoto de L'Aquila con il suo mancato allarme, alle inondazioni in Liguria o in Sicilia frutto, spesso, di uno sfruttamento criminale del territorio e della natura, oppure al terremoto di San Giuliano di Puglia, con la scuola crollata perchè costruita in modo indegno. La storia è ciclica e ripresenta situazioni analoghe a distanza di tempo: per questo è importante ricordarla, riprenderla, approfondirla”. La vicenda del Vajont è in questo drammaticamente esemplare.

“Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d'acqua e l'acqua è traboccata sulla tovaglia. Tutto qui”. Così scrisse nel 1963 Dino Buzzati sul Corriere della Sera, per raccontare il tragico destino della gente di Longarone, spazzata via dall'onda innescata dalla frana del Monte Toc. “Un'onda tanto violenta che ancora non si è spenta – sottolinea l'attore bergamasco - proprio come ha scritto Lucia Vastano nel suo libro "Vajont, L'onda lunga". Un'onda che dopo aver portato morte e distruzione è stata cavalcata ad arte per dividere i superstiti già dal giorno dopo (un nemico frazionato è più battibile, anche in sede giudiziaria), per permettere infiltrazioni mafiose nella ricostruzione, per consentire truffe milionarie a danno dei sopravvissuti, fra i quali anche i bambini senza famiglia dati in affido a famiglie interessate solo alla dote di risarcimenti che questi fanciulli portavano con sé”. In tre ore di monologo Rottoli non solo racconta l'escalation incredibile di malaffare e irresponsabilità di quegli anni davanti al pericolo della frana, ma sollecita il ricordo attivo e l'impegno civile come occasioni per onorare i morti e soprattutto evitare il ripetersi di simili tragedie.

“Fu proprio il lavoro di Paolini del '97 a sollevare il velo su questa vicenda, facendola tornare all'attenzione del grande pubblico: dove non arriva l'informazione, spesso, grazie a Dio, arriva l'arte, il teatro. Ci fu anche il film di Martinelli nel 2001 e in occasione della presentazione la giornalista freelance Lucia Vastano fece sue molte istanze delle persone del posto, appassionandosi alla vicenda fino a scrivere un libro che ricostruisse tutto il dopo-Vajont. Una delle richieste dei sopravvissuti è quella che il Vajont dovrebbe essere raccontato nelle scuole: la Vastano ha colmato il vuoto didattico di una simile richiesta, scrivendo un racconto per fanciulli che verrà presentato il prossimo proprio il 7 ottobre”. Nel corso della due giorni in diga, in territorio del comune di Erto Casso (Pordenone), Rottoli presenterà, il 6 ottobre alle 22, “Il respiro di Bophal”, un monologo legato alla tragedia che in India, nel 1984, costò la vita a migliaia di persone per un incidente a una fabbrica di pesticidi. L'attore sarà accompagnato in musica da Martina Locatelli, 21 anni pure di Bonate, che ha già accompagnato Rottoli in due precedenti progetti.

Il 7 ottobre, alle 14.30, verrà presentato il libro “I palloncini del Vajont” di Lucia Vastano, animato da un racconto teatrale nel quale Omar Rottoli sarà accompagnato da Silvia Bonifaccio, 34 anni, di Bonate Sotto e Martina Locatelli. “Sarà un momento di particolare intensità: saranno liberati in cielo 470 palloncini, tanti quanti i bimbi morti a Longarone la notte della tragedia. E un ricordo particolare andrà ai bambini di Beslan, trucidati nella strage terroristica in Ossezia del 2004. Fra Longarone e Beslan è attivo da alcuni anni un particolare gemellaggio”. Perchè nessuno possa dimenticare.


Una tragedia annunciata
Vajont è il nome del torrente che scorre nella valle di Erto e Casso per confluire nel Piave, davanti a Longarone e a Castellavazzo, in provincia di Belluno. Il 9 ottobre del 1963, alle 22.39, una frana di proporzioni inimmaginabili si staccò dal Monte Toc e finì la sua corsa nella nuovissima diga eretta sul torrente Vajont, allora quasi piena. L'impatto di milioni di metri cubi di terra e roccia sull'invaso che lambiva gli abitati di Erto e Casso (sostanzialmente risparmiati dalla tragedia) provocò un'onda senza precedenti cui la diga si oppose efficacemente, ma che, superato lo sbarramento, piombò a valle, causando 1910 morti (secondo la stima oggi più attendibile) soprattutto a Longarone.

Commissioni d'inchiesta, ma anche il lavoro caparbio della giornalista Tina Merlin che scrisse il libro “Sulla pelle viva” da cui Paolini ha tratto il proprio testo, portarono alla luce le vicende legate alla costruzione del bacino tra Veneto e Friuli e i meccanismi perversi e interessati che portarono alla decisione di andare avanti con i lavori, nonostante gli evidenti segni di cedimento della frana sulla sponda sinistra della valle. In corso d'opera si decise di approfondire gli studi relativamente alle azioni dinamiche sulla diga. Essi furono condotti in parte presso l'ISMES di Bergamo, come ricordato anche nel documentario voluto dal progettista Carlo Semenza e presentato prima della tragedia. Le indicazioni dei tecnici e soprattutto dei geologi rimasero inascoltate: e il 9 ottobre del 1963 arrivò la tragedia annunciata.

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