Paolo Rossi: «In Rebalais
il popolare diventa poesia»

Autore e attore si incontrano. Nel segno del comico. Paolo Rossi, per l'ultimo evento di «Un grande classico», rassegna realizzata dall'assessorato alle Politiche giovanili del Comune, ha «raccontato» il suo «Gargantua» di Rabelais.

Autore e attore si incontrano. Nel segno del comico. Paolo Rossi, per l'ultimo evento di «Un grande classico», rassegna realizzata dall'assessorato alle Politiche giovanili del Comune, ha «raccontato» il suo «Gargantua» di Rabelais (giovedì sera 12 maggio al Teatro Sociale, nella foto un momento dello spettacolo), da cui, nel '96, aveva tratto uno spettacolo teatrale.

Rossi, come ha reinterpretato il capolavoro di Rabelais?
«Ho fatto una sorta di lezione-spettacolo per raccontare come un comico può affrontare un classico. In questo caso un classico che tratta già del comico e della gioia della risata. Cosa che è scritta addirittura nel prologo».

Cosa la avvicina a Rabelais?
«È uno dei testi di riferimento del comico. Ci sono tutti i trucchi, le meccaniche, le tecniche, i modi, gli stili del genere. C'è tutto. In particolare, per quello che mi riguarda, la visionarietà, l'iperbole».

Visionarietà?
«Ci sono liste di cibi che partono da antipasti "normali" per risultare poi piatti quasi psichedelici. Infarcitura di condimenti, sali, gli accostamenti più strambi…».

Questa oltranza di istintualità, carnalità che sconfina in una sorta di «gastrolatria», l'ha specialmente sedotta?
«Certo. È il popolare che diventa poesia. Popolare a livello di classe, di eleganza».

Modernità del testo?
«Quando i testi hanno un valore quasi "sacro" - sono pochi gli autori che possono arrivare a tanto - la modernità sta nel modo in cui tu ti avvicini. In cui entri dentro quel classico. Il punto di vista del lettore diventa fondamentale, le associazioni, gli stimoli che il libro gli provoca. Lì sta la modernità. Più un classico è moderno, più dà libero arbitrio all'artista che lo deve reinterpretare, al lettore che lo deve ascoltare».

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