Cultura e Spettacoli / Pianura
Sabato 06 Febbraio 2010
Un bergamasco tra gli esecutori
di Mussolini e Claretta Petacci
Valerian Lada-Mocarski, nobile russo arruolato come spione dagli americani, scrisse per l'Oss una serie di relazioni, frutto di indagini ravvicinate e di colloqui con i protagonisti-testimoni dell'esecuzione del duce e della sua amante. I rapporti sono stati pubblicati, lo scorso anno, dalla rivista Nuova storia contemporanea, diretta da Francesco Perfetti, e in un libro collettaneo del Saggiatore, di cui sono autori Giorgio Cavalleri, Franco Giannantoni e Mario J. Cereghino. Che cosa afferma, in sostanza, Lada-Mocarski? Egli sostiene che i protagonisti-testimoni della fucilazione furono non più di quattro-cinque. Non li nomina per nome, ma ci aiuta a identificarli.
Essi furono il capitano «Neri», alias Luigi Canali, il comandante partigiano comasco poi fatto sparire dai suoi stessi compagni comunisti nel maggio del '45; Michele Moretti «Pietro», l'uomo che, secondo la versione ufficiale degli avvenimenti, avrebbe passato il suo mitra al colonnello «Valerio», al quale si era inceppata l'arma; Giuseppe Frangi alias «Lino», uno dei due giovani partigiani che avevano sorvegliato Mussolini e la Petacci nella loro notte di prigionia nel casolare di Mezzegra; Aldo Lampredi «Guido», agente del Comintern e vice operativo di Luigi Longo, numero due del partito comunista e comandante supremo delle Brigate Garibaldi.
C'è poi un quinto uomo, definito come «commissario di guerra», che accompagnava la missione del commando speciale politico-militare del Pci inviato da Milano per sopprimere il duce. Questo personaggio, citato più volte nelle relazioni di Mocarski come Nicola, non può essere Dionisio Gambaruto, nome di battaglia «Nicola», che fu tra i responsabili dell'uccisione del capitano «Neri». Gambaruto, infatti, aveva una ventina d'anni, e non era nemmeno lontanamente in grado di assolvere una missione del genere. Per logica deduzione, l'unico Nicola che corrisponde all'identikit storiografico più accurato è Giovanni Nicola, di origini bergamasche, uomo d'apparato del Pci, che godeva la fiducia di Luigi Longo.
Ma non è l'unica sorpresa che discende dall'attenta lettura delle relazioni dell'agente Oss. Dai documenti esce ammaccata, se non a pezzi, la versione ufficiale dell'esecuzione di Mussolini, divenuta nei decenni «vulgata»: vi si coglie persino intuitivamente la sensazione che il mito del «colonnello Valerio» è appunto un mito costruito per appagare le necessità di una glasnost nostrana. In realtà, non era Walter Audisio l'uomo che, con l'identità di «Valerio», ebbe la parte decisiva sulla scena della duplice fucilazione. Il vero «Valerio», a Mezzegra, non poteva che essere Aldo Lampredi, descritto da Lada-Mocarski come il «civile giunto da Milano», con l'impermeabile chiaro e i capelli ben spazzolati all'indietro.
Un'istantanea che pare adattarsi perfettamente a Lampredi, più che ad Audisio, arrivato a Dongo in uniforme paramilitare. Particolari apparentemente insignificanti che, tuttavia, possono segnare lo spartiacque tra una interpretazione storica e l'altra. Ma torniamo al misterioso Giovanni Nicola, il personaggio rimasto fino ad oggi avvolto in un cono d'ombra, pur avendo probabilmente partecipato all'esecuzione di Mussolini. La prima cosa da sottolineare è che la sua biografia è tipica del rivoluzionario di professione di stampo cominternista. Quest'uomo senza volto, nato a Caravaggio, in provincia di Bergamo, il 1° agosto 1896, era coetaneo di Sandro Pertini, il leader socialista che il 25 aprile 1945 tuonò che Mussolini doveva essere ucciso «come un cane tignoso».
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