«Poveri ma belli» al Creberg
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Gli anni '50 senza troppa nostalgia. Roma senza farla diventare romanesca. Una storia tratta da un film famoso, senza per questo farne il bignami né il birignao. I pregi di Poveri ma belli, visto sabato sera al Creberg Teatro Bergamo (con poco meno di 600 spettatori) e in replica ieri pomeriggio, sono questi. E non è male, affatto. Così come non dispiace la confezione di questo musical davvero nostrano, per soggetto e sapore: vi contribuiscono la regia di Massimo Ranieri ripresa da Roberto Bani, la musica di Gianni Togni e le coreografie di Franco Miseria, per la produzione de Il Sistina (un marchio, uno stile) e Titanus.

Per dirla con una battuta, Poveri ma belli è la vecchia commedia musicale all'italiana, aggiornata alla lezione dei musical internazionali. Il ritmo è più serrato; la colonna musicale ha una funzione di struttura e non solo ornamentale; le canzoni hanno un ruolo drammaturgico oltre che di espressione lirica; i brani di danza (mai coreografie particolarmente elaborate, ma ben eseguite) si intrecciano e sciolgono nell'azione. Il risultato è uno spettacolo di buona fluidità, soprattutto nella prima parte, che introduce personaggi e storia. Storia che è quella del film di Dino Risi del 1956: una commedia senza impegno che, proprio per questo, seppe esprimere lo spirito dei tempi meglio di altre.

La storia è nota. Romolo e Salvatore (Michele Carfora e Antonello Angiolillo) corrono allegramente dietro alle ragazze nella Roma degli anni '50, che si è leccata le ferite della guerra e già pensa al boom. Le cose si fanno serie – uscendo da questa versione proletaria della dolce vita – quando s'innamorano e si contendono Giovanna (Emy Bergamo), in lite con il fidanzato. La cosa spiace alle sorelle dei due ragazzi (Francesca Colapietro e Samantha Fantauzzi): ognuna di loro è innamorata, da sempre, dell'amico del fratello. È superfluo raccontare come finisce: per chi non ricordasse il film, basti ricordare le leggi dell'amico e del lieto fine.

Qui sta anche il succo dello spettacolo. Poveri ma belli è la storia di una maturazione a prova di amicizia. Ed è anche la storia – e qui sta quel pizzico di nostalgia che non si può eliminare – di una giovinezza spensierata, in un'Italia che era anch'essa giovane, cresceva e guardava al futuro con speranza, ma al momento opportuno sapeva fare sul serio. Tutte cose che avevano un senso. E forse ne hanno ancora, almeno per la parte che riguarda l'amicizia e l'appello a una frugalità che aiuta a vedere le cose nella loro giusta dimensione. Rimane – di questa storia semplice, questo musical veloce – una sensazione di freschezza.

Il testo di Massimiliano Bruno ed Edoardo Falcone rivisita la vicenda del film, puntando a farne una storia autonoma. La musica di Togni coglie lo spirito del progetto spaziando dal pop alla musica latina, con venature jazz e rock, in modo di dare un «sound» ad ogni personaggio e richiamare un'atmosfera, più che un periodo e un luogo precisi. Anche per questo le scene di Marco Calzavara sono più funzionali che realistiche, e i costumi di Giovanni Ciacci riutilizzano alcuni stilemi d'epoca più che farne il verso. Buono il gruppo degli attori. Meritavano un pubblico più numeroso.

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