«Cosa dobbiamo al Medioevo? Provo ad enumerare alcune voci: gli occhiali, la carta, la filigrana, il libro, la stampa a caratteri mobili, l’università, i numeri arabi, lo zero, la data della nascita di Cristo, banche, notai e Monti di pietà, l’albero genealogico, il nome delle note e la scala musicale. Il Medioevo […] ha cambiato il nostro senso del tempo, su questa terra, con l’orologio a scappamento, introducendo le ore di lunghezza uguale e non più dipendenti dalle stagioni; ha cambiato il nostro senso del tempo, nell’aldilà, perché ha fatto emergere un terzo regno, il purgatorio, che rompe i destini immutabili dell’eternità. Infine, fa sognare i bambini con Babbo Natale».
Per riconoscimento generale, Chiara Frugoni è, alla stregua di Jacques Le Goff e di Franco Cardini, tra i maggiori esperti dell’«età di mezzo». Lunedì 30 novembre la storica pisana (che però, sin dall’infanzia, trascorre le sue estati nella Bergamasca, a Solto Collina) sarà ad Alzano Lombardo per tenere due relazioni, su invito del Liceo scientifico Edoardo Amaldi: al mattino, parlerà alle classi terze dell’istituto sul tema Medioevo sul naso. Occhiali, bottoni e altre invenzioni medievali (è questo il titolo di un suo libro, da cui è ricavata la citazione iniziale). In serata invece, alle 20.45, l’auditorium del Parco Montecchio ospiterà una lectio magistralis aperta al pubblico su L’affare migliore di Enrico. Giotto e la cappella Scrovegni. Anche in questo caso il titolo della conferenza, promossa dall’Amaldi in collaborazione con l’amministrazione comunale per la serie “Il Liceo incontra il territorio”, ricalca quello di un volume della professoressa Frugoni, pubblicato lo scorso anno da Einaudi (pagine 588, euro 65).
L’Enrico in questione è appunto Enrico Scrovegni, che all’inizio del XIV secolo commissionò a Giotto di Bondone il celebre ciclo di affreschi della chiesa padovana. Nelle rappresentazioni giottesche delle storie di Gioacchino e Anna, della vita di Maria e di Cristo, nonché nelle allegorie dei Vizi e delle Virtù, si riscontrano numerose particolarità e “omissioni”: ad esempio, per compiacere il suo committente (un finanziere che possedeva anche numerose navi mercantili e perfino una “masnada”, un piccolo esercito privato) il pittore evitò di raffigurare tra i Vizi l’Avarizia, sostituendola con l’Invidia (il sentimento che molti padovani, verosimilmente, provavano nei riguardi del ricco concittadino).
«“Invidia” – spiega Chiara Frugoni - ha, tra le sue caratteristiche mostruose, una lingua serpentiforme che le si ritorce contro: come se, attraverso quest’immagine grottesca, Enrico intendesse sfottere coloro che, a motivo della sua prosperità economica, non gli volevano troppo bene». D’altra parte, «chi si ricorderebbe oggi di Enrico se non ci fosse stato Giotto? In definitiva, quelle pitture furono il migliore affare del grande finanziere». L’ingresso alla conferenza, nel corso della quale saranno proiettati immagini e filmati, è libero, fino ad esaurimento dei posti disponibili.
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