Cultura e Spettacoli / Bergamo Città
Mercoledì 18 Novembre 2009
Francis Ford Coppola a L'Eco
«Cinema, un'arte che è un sogno»
«Per cosa vorrei essere ricordato? Per i miei figli e per i miei nipoti»: così risponde a «L'Eco» Francis Ford Coppola, il celebre regista protagonista del Torino film Festival, dove presenterà «Segreti di famiglia».
«Per cosa vorrei essere ricordato? Soprattutto per i miei figli e per i miei nipoti»: così ci risponde Francis Ford Coppola, il settantenne regista di pellicole come Il padrino e Apocalypse Now, protagonista del Torino film Festival, rassegna nella quale riceverà il Gran Premio Torino e presenterà l’anteprima italiana del suo ultimo film «Segreti di famiglia», in uscita nelle sale venerdì 20 novembre.
Coppola ha parlato di cinema del passato, del presente e del futuro. Ecco la sua idea di cinema: «Il fatto che già nei primi venti, trent’anni dalla sua nascita il cinema abbia prodotto tanti capolavori, mi porta a credere che questa sia stata una forma d’arte che l’uomo stava aspettando, quella tra tutte che più si avvicina al sogno. Il cinema come l’abbiamo conosciuto sta cambiando. Il futuro sarà il cinema digitale ad alta definizione, se fatto da un buon direttore della fotografia e con ottimi obiettivi, già oggi dà dei grandi risultati».
Sul cinema italiano Coppola ha sottolineato: «Trent’anni fa c’erano centinaia di bei film italiani, oggi ce ne sono molto meno. Evidentemente i "padri" non hanno saputo trasmettere niente alle generazioni successive. Ho proprio la sensazione che in Italia i giovani abbiano veramente pochissime opportunità, perché non viene data loro l’opportunità di crescere e prosperare».
Ecco l'intervista completa
«Per cosa vorrei essere ricordato? Soprattutto per i miei figli e per i miei nipoti»: così ci risponde Francis Ford Coppola, il regista di pellicole come Il padrino e Apocalypse Now, oggi settantenne, che è ospite del Torino Film Festival - dove ha ricevuto il Gran Premio Torino - per presentare l'anteprima italiana del suo ultimo film Segreti di famiglia (in uscita nelle sale domani).
Con Coppola ovviamente si è parlato di cinema: del suo, di quello degli altri, di quello del passato e di quello del futuro, ma anche di padri e di figli (il tema della pellicola) e delle sue radici («Mi sento profondamente italiano, i miei quattro nonni erano italiani, tre napoletani e uno della Basilicata, e sono orgoglioso che gli Stati Uniti siano stati praticamente costruiti dagli immigrati»): insomma si è parlato della vita e di come i genitori, soprattutto i padri, dovrebbero spingere i propri figli, incoraggiarli, farli sentire sempre un po' speciali, credere in loro anziché soffocarli.
In Segreti di famiglia Angelo Tetrocini (Vincent Gallo) abbandona la famiglia e l'autoritario padre - un famosissimo direttore d'orchestra di origine italiana emigrato a Buenos Aires e poi a New York - per realizzare il sogno di diventare scrittore. Dieci anni dopo questa fuga il giovanissimo fratello, Benni, decide di andarlo a trovare. Ma «Tetro», come ormai il fratello si fa chiamare, lo accoglie in malo modo: il film svelerà i segreti della famiglia Tetrocini.
Signor Coppola, nel suo ultimo film si parla di un padre autoritario che ha soffocato il talento del figlio: quanto c'è di autobiografico in questi personaggi? «Il problema della figura paterna viene direttamente dai miti antichi ed ha trovato ampio spazio sia nel teatro sia nella letteratura, quella del padre potente e ambizioso cui il figlio deve ribellarsi non è certo una figura che ho inventato io, anche perché mio padre era proprio l'opposto del personaggio interpretato da Klaus Maria Brandauer nel film».
Resta però il problema tra le due generazioni. «Il problema spesso è proprio quello dei padri che non hanno saputo trasmettere niente alle generazioni successive, le hanno soffocate anziché incoraggiarle ad intraprendere una loro strada. È quello che fa il Carlo Tetrocini del mio film: non crede nel figlio, ne soffoca il talento, gli seduce perfino la fidanzata con il suo charme di grande direttore d'orchestra e il suo potere».
Lei accennava a questo tema legandolo anche all'Italia e al cinema italiano. «Certo, mi piange il cuore quando vedo tanti giovani italiani costretti ad emigrare per affermarsi. Perché le loro famiglie, i loro padri non li spingono ad affermarsi qui? Nella nostra famiglia abbiamo sempre spinto i nostri figli ad affermarsi, chiamavo mia figlia Sofia - wonder woman, le dicevo - ricordati che sei una superfemmina, hai un sacco di talento, vai avanti". Nel cinema italiano è successa un po' la stessa cosa: potrei citare i nomi di una trentina di registi italiani importantissimi che mi hanno influenzato: da Rossellini ad Antonioni da Risi a Fellini, Rosi. E oggi?».
Non è un po' anche colpa dei figli che non si impongono? «No, non è mai colpa dei figli, non è mai colpa dei ragazzi».
Ha visto Gomorra e Il Divo? «Ho visto Gomorra ma non Il Divo. Trovo che sia un film recitato benissimo, ma l'ho seguito con un po' di difficoltà, è molto duro. Pur conoscendo abbastanza Napoli, ho fatto un po' fatica a seguirlo. Torniamo comunque al problema di prima: trent'anni fa c'erano centinaia di bei film italiani, oggi me ne citate due. Evidentemente i "padri" non hanno saputo trasmettere niente alle generazioni successive. Ho proprio la sensazione che in Italia i giovani abbiano veramente pochissime opportunità».
Come si fa a sapere se uno ha del talento? «Quando facevo il servizio militare ero frustrato perché volevo scrivere - avrei voluto diventare un drammaturgo - e non ci riuscivo. Un ragazzo più anziano mi ha spronato a non mollare, ad applicarmi giorno dopo giorno e i risultati sarebbero arrivati. C'è chi ha il talento naturale e chi se lo conquista con la pratica. Certo, poi se hai il talento naturale ti chiami Picasso».
Ci dice qualcosa sulla sua idea di cinema? «Il fatto che già nei primi venti, trent'anni dalla sua nascita il cinema abbia prodotto tanti capolavori mi porta a credere che questa sia stata una forma d'arte che l'uomo stava aspettando, quella tra tutte che più si avvicina al sogno. Mi domando spesso: che film avrebbe fatto Goethe se ci fosse stato il cinema? Il cinema come l'abbiamo conosciuto sta cambiando. Il futuro sarà il cinema digitale ad alta definizione (formato con cui ho girato Segreti di famiglia): se fatto da un buon direttore della fotografia e con ottimi obiettivi, già oggi dà dei grandi risultati».
Infatti questo ultimo film è girato in parte in bianco e nero. «Amo moltissimo il bianco e nero: è una bellissima forma fotografica prima ancora che cinematografica: possiede quel misto di realismo e di poesia che mi affascina. Purtroppo ai dirigenti degli Studios hollywoodiani non piace, così come non piacciono le storie drammatiche, vorrebbero che si realizzassero solo film d'azione con grandi divi o commediole un po' volgari. È un peccato che il cinema, che ha grandissime potenzialità, debba esser imbrigliato dalle regole imposte dalla produzione. E comunque se ad Hollywood pensano che il futuro del cinema sia nel 3D si sbagliano di grosso».
Lei è stato influenzato dal teatro americano e dal cinema europeo: quello italiano, ma anche da certo cinema inglese, quello di Michael Powell e Emeric Pressburger, ma anche dalla visione di Ottobre di Sergej Ejzenstejn? «Michael Powell faceva dei film meravigliosi: Scarpette rosse, I racconti di Hoffman erano film che mio fratello maggiore, che adoravo, mi portava a vedere quando avevo cinque anni. Sono pellicole che mi hanno influenzato molto, ma all'epoca dei miei studi sognavo di diventare un drammaturgo. Amavo il teatro. Poi un giorno ho assistito alla proiezione di Ottobre: non avevo mai visto niente di simile. L'alchimia del montaggio, la possibilità di giocare con le immagini, con le scene, mi ha convinto ad occuparmi di cinema».
Come sarà il cinema del futuro? «Questo non lo sa nessuno. Io sono sempre stato aperto alle novità, come dimostra il fatto di aver fondato la mia casa di produzione, l'American Zoetrope, con George Lucas ormai quarant'anni fa, proprio per sperimentare l'immagine elettronica. Il futuro mi ha dato ragione. Mia figlia Sofia gira solo in pellicola, rifiuta il digitale, ma forse solo perché non vuole perdere la magia di cento anni di cinema».
E il cinema su Internet? «Mi va bene: il cinema è un linguaggio, come una lingua è in continua evoluzione. Di sicuro credo che non scompariranno le sale cinematografiche. Il cinema è come un organismo vivente: si modifica di continuo».
Lei è un apprezzato produttore di vino. Tra cento anni preferirebbe essere ricordato per i suoi film o per il suo vino? «Sicuramente per i miei figli e per i miei nipoti».
Andrea Frambrosi
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