Equità cercasi per chi tiene casa

di Beppe Facchetti

Che esista un legame diretto tra imposizione fiscale e sviluppo (o crisi) dell’edilizia è sempre stato evidente, anche al di là delle percentuali, perché molto conta la psicologia, l’impressione che il risparmiatore-investitore ricava dal comportamento dello Stato in materia di casa.

Che esista un legame diretto tra imposizione fiscale e sviluppo (o crisi) dell’edilizia è sempre stato evidente, anche al di là delle percentuali, perché molto conta la psicologia, l’impressione che il risparmiatore-investitore ricava dal comportamento dello Stato in materia di casa. Negli ultimi due anni, ad esempio, ha fatto peggio la confusione di sigle, l’avanti-indietro delle più contrastanti ipotesi di tassazione, che non la tassazione stessa, che per il momento non ha ancora dispiegato tutti i suoi effetti, perché presenterà il conto solo a fine 2014. E sarà salato, se verrà confermato il calcolo fatto dall’Osservatorio congiunturale

Ance, l’associazione dei costruttori: +200% in tre anni. Percentuale impressionante, non c’è che dire, e Ance ha ragione a temere che tutto questo venga ancora pagato da un comparto che in Italia è un asse portante dell’economia, e che ha già registrato mezzo milione di posti di lavoro persi direttamente, e altri 800 mila nell’indotto. Ma se lo stesso presidente Paolo Buzzetti vede qualche pallido segno di ripresa, bisogna allora smettere di piangere sul latte versato, e cercare un nuovo equilibrio. Ance indica la strada dell’allentamento del patto di stabilità europeo per quanto riguarda questo tipo di investimento. Non è proprio un’idea originale, lo chiedono quasi tutti, ma ci può stare, purchè a fronte di un piano di investimenti pubblici, appoggiato sui fondi strutturali Ue, come chiede il governatore Visco e denunciano i numeri Ance: qui il passo indietro dal 2008 è stato ben del 48%.

Ma occorre qualcosa di più, senza quelle improvvisazioni e contraddizioni che hanno fin qui disorientato gli investitori. Bisogna con equità distinguere non solo tra prima casa e tutto il resto, ma anche tra investimenti di risparmio e investimenti speculativi. Nel biennio 2012-2013 la prima casa è stata obiettivamente tutelata, ma merita riflettere sul mix di questo prelievo, che è diminuito del 60% non in modo indifferenziato, ma aumentando del 20% il costo dei servizi e diminuendo dell’80% il prelievo di tipo «patrimoniale». Nel 2014 (previsioni Bankitalia) questo settore non supererà i livelli 2012. Può essere un buon indizio per altri ambiti.

Lo Stato deve darsi un criterio guida che non sia esclusivamente quantitativo. È giusto far pagare i servizi, perché il ciclo dei rifiuti costa, e perché anche quelli indivisibili (che un tempo andavano nel calderone comunale) devono pur essere coperti, e i debiti delle municipalizzate pesano comunque su tutti. Occorre invece allentare la componente di natura strettamente patrimoniale, che scoraggia gli investimenti e crea il clima di diffidenza che uccide il settore. La diffusa piccola proprietà non può essere l’eterna vittima sacrificale, e va distinta dalle grandi multinazionali dell’immobiliare. Secondo uno studio Cgia Mestre, nel periodo della crisi 2007-2014 il prelievo legato alla redditività dell’investimento è cresciuto solo dell’1%, quello legato ai trasferimenti di proprietà è crollato del 23%, segno evidente della crisi, ma quello legato al semplice possesso è salito dell’88%. Ora il «semplice possesso» è una patrimoniale mascherata che «punisce» il fatto stesso di essere «padroni di casa», residuo classista che non tiene conto del fatto che milioni di persone in Italia hanno risparmiato una vita per trovarsi ora magari con una casa sfitta (ma da tassare comunque), deprezzata, e che, pur essendo vuota, deve ugualmente pagare rifiuti e Tasi. Qui insomma sta il fronte su cui lavorare ancora in sede politica, all’insegna dell’equità.

L’Osservatorio Ance di ieri lo ha confermato, ricordando che l’investimento in edilizia abitativa è sceso dal 2008 del 58%, mentre nello stesso periodo è bastato qualche segnale concreto nel campo degli incentivi per far salire gli investimenti in ristrutturazioni del 23,6%. Segno che una liquidità c’è, e può dare lavoro, insieme ai piani renziani sulle scuole. Piccoli interventi, grandi risultati. Insomma questo settore strategico della nostra economia non deve essere il muro del pianto, ma quello dell’equità creativa.

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