Gasp che resta, i dubbi e l’intesa. E l’Atalanta del futuro nella parola d’ordine di Pagliuca: «Win»

commento. L’editoriale

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Win. La prima parola pubblica pronunciata da Stephen Pagliuca in terra bergamasca non ammette repliche. Win. Vincere. Lo dice, il co-presidente dell’Atalanta, sul marciapiede di via Paglia quando il summit tra società e allenatore è terminato da pochissimo e la decisione è stata presa: Gianpiero Gasperini allenerà l’Atalanta anche nella prossima stagione, l’ottava consecutiva. Un dato che proietta Gasp alle spalle del solo Trapattoni alla guida della Juventus: solo questo disegna la grandezza del lavoro di Gasperini all’Atalanta. In assenza di dichiarazioni di Gasperini, le parole d’ordine sono diventate due: «win» di Pagliuca e il sorriso sinceramente felice di Antonio Percassi. Vedremo i dettagli di questo accordo, ci sarà tempo e l’estate disegnerà il futuro dell’Atalanta. Ora, qui, conta mettere alcuni punti fermi.

 

I dubbi sono sani

Se si è arrivati a questo summit fiume - e va detto, all’orlo dell’addio - è perché, per ammissione degli stessi protagonisti, qualche dubbio c’era. Dubbi di cui ha parlato esplicitamente Gasperini e dubbi che ha lasciato trapelare Luca Percassi nella dichiarazione rilasciata a Sky nel tardo pomeriggio di lunedì 5 giugno. I dubbi sono sani, perché aiutano a chiarirsi. Spaventano, perché aprono alla possibilità di diversi finali, anche non gradevoli. Ma sono sani. Non sano è lasciarli fermentare finché esplodono. Diceva Churchill: «Nessun problema può essere risolto congelandolo». Un po’, forse, quel che è accaduto in questa stagione: problemi congelati ma poi esplosi, soprattutto per bocca di Gasperini. Esplosioni come quella di dicembre, post Inter, non fanno bene a nessuno. Ma se avvengono, una causa c’è, probabilmente nel metodo di lavoro. E se c’è una causa è bene analizzarla e rimuoverla. E’ questo che, speriamo, è stato fatto nelle lunghe ore di via Paglia. Trovare un metodo di lavoro che soddisfi Gasperini e non mortifichi le competenze dei dirigenti (come, almeno in parte, è accaduto in passato). Trovare un metodo che esalti il genio del tecnico ma al tempo stesso salvaguardi i conti e la gestione. Perché i capolavori dell’Atalanta, in questi anni, sono due: in campo, per mano di allenatore e squadra che hanno saputo cogliere risultati impensabili. E negli uffici, per mano di dirigenti e proprietà che hanno saputo far crescere la realtà nerazzurra a livelli incredibili, tenendo saldi i conti e diventando un esempio di buona gestione, indicato persino da Ceferin nelle tristi ore del lancio - e del naufragio lampo - della Superlega. Ogni allenatore vuole sempre giocatori forti, per vincere nel breve, subito.

 

E ogni società - quelle ben gestite, non quelle che navigano nei debiti - guarda sempre anche al medio periodo, alle conseguenze sui bilanci delle operazioni che si fanno. Il compromesso vincente si trova tra ambizioni e buona gestione. E’ stato così finora, anche se con qualche operazione anche molto costosa non andata a buon fine, la speranza è che la «totale condivisione» comunicata anche sul sito ufficiale della società diventi un metodo di lavoro stabile, solido, resistente alle turbolenze, esaltato dalle vittorie e impermeabile alle sconfitte.

L’allenatore

 

L’errore da non commettere, in tutto questo, è pensare che Gasperini possa essere ingabbiato in comportamenti completamente esenti da eccessi. Gasperini è questo, è un «pacchetto» che include il genio sul campo e la tentazione di sentirsi «monarca» fuori dal campo. Se si sceglie di confermarlo, occorre seguirlo e assecondarlo. Ci sono allenatori totalmente aziendalisti, che allenano il «materiale» che la società mette loro a disposizione. E ci sono allenatori che preferiscono incidere di più nelle scelte. Gasperini è ovviamente uno di questi ultimi, e se lo si prende occorre starlo a sentire. Per evitare che poi accada quel che lui ha descritto bene domenica sera: «Se un investimento poi non rende, io lo metto in panchina». Non serve aggiungere molto altro, perché un’operazione come quella di Demiral (per esempio) è un danno per la squadra - un difensore in meno per il campo - e un danno per la società: un investimento pesante che perde valore.

«Win»

Torniamo all’inizio, all’ambizione di Pagliuca. «Win», perché a Bergamo conosciamo la storia e la dimensione dell’Atalanta, ma Stephen Pagliuca ha una mentalità diversa. I Celtics, nel basket americano, sono una realtà che naturalmente va sul parquet per vincere. O quantomeno per competere per vincere e stare sempre al vertice. Ovvio che Pagliuca riversi questa mentalità anche nel calcio italiano. Anche perché Pagliuca è portatore di un investimento il cui valore per sua natura ha bisogno di essere incrementato. E una società di calcio incrementa il suo valore soltanto rimanendo in alto, vincendo, stabilizzando uno status internazionale. Win: è la parola d’ordine di Gasperini. Perché è attraverso le vittorie che Gasperini ha pompato nell’ambiente bergamasco un carburante che prima si conosceva poco: l’ambizione. L’ambizione di crescere, di migliorare, di tentare l’intentabile: questo è stato il verbo, innegabilmente, di Gasperini. Ed è questo il punto principale, persino al di là delle vittorie, del quale occorre rendergli gratitudine. Perché delle vittorie è la premessa fondamentale. Ora vedremo come questo «win» si tradurrà sul mercato, sulle strategie. E come questa intesa d’inizio estate riuscirà a cancellare le perplessità reciproche emerse - talvolta con una comunicazione forse non brillantissima da entrambi i lati del tavolo - in queste settimane. Per ora, restiamo lì, a quella parola, bellissima. «Win». Forza, Atalanta.