Difficile dire cosa sia capitato dal meraviglioso 3-0 al Milan all’incubo di questo 1-3 con la Lazio. E diciamolo: è un 1-3 quasi stretto, per la squadra di Inzaghi. Perché l’Atalanta, per come è stata in campo in dal primo all’ultimo minuto, ha dato costantemente la sensazione di non essere «nella» partita. Di averci capito poco, di non essere riuscita a porre rimedio, di non avere la forza di darsi una scossa di carisma. La giornata storta può capitare, ovvio. Capiteranno altri pomeriggi da fuochi d’artificio così come capiteranno altri incubi. E’ nella natura delle cose e i giocatori, ricordiamolo sempre, sono uomini con gli alti e bassi che abbiamo tutti, qualsiasi sia la nostra attività. Dunque togliamoci di torno questo risultato, prendendo gli insegnamenti che anche questa partita può aver lasciato. Se è vero che o si vince o si impara, vediamo cosa c’è da imparare.
1. Le scelte dal 1’
La formazione aveva sorpreso tantissimi. Ruggeri contro Lazzari? Un difensore giovanissimo e non veloce contro uno degli esterni migliori - e forse il più veloce - della serie A? Per carità: Gasperini aveva fuori sia Hateboer che Gosens, e gli altri esterni sono stati tutti rispediti al mittente nel corso del mercato. Quindi l’unico esterno di ruolo, avendo Maehle a destra, era Ruggeri. Però la risposta del campo è stata inequivocabile: Ruggeri dal 1’ contro un avversario così ora non ce la fa. Il giovane è una grande promessa, ma le grandi promesse sono cristalli da maneggiare con cura. Poi Miranchuk, insieme a Zapata e Ilicic, con Pessina in panchina. Purtroppo, per il russo è arrivata un’altra prova deludente, da «pesce fuor d’acqua». E con un Ilicic che stavolta non ha acceso la lampadina del genio, l’Atalanta è diventata prevedibile, incapace di disegnare sul campo le sue trame abituali, troppo spesso indotta a forzare la giocata, spessissimo sbagliandola. Poi Gasperini ha corretto la rotta, talmente tanto che la Lazio ha segnato il secondo praticamente subito, e adios. La sensazione di averci capito poco ci ha riportati con la memoria alla prima sfida con il Liverpool. Se poi va come nel periodo successivo, quasi quasi ci mettiamo la firma.
2. I gol subiti
Del «caso» Romero parliamo più avanti. Qui conta dire che non può essere il gol iniziale a sbaragliare lo spirito della squadra: semmai, data la ripetitività con cui si ripete la situazione, è forse lo spirito della squadra a favorire questi gol in avvio di partita. Certo, stavolta c’ha messo uno zampino pesante anche Gollini. Sul primo gol il portiere può arrivarci - anche al netto del sole -, ma soprattutto è inedito l’errore di lettura che lo porta a uscire in grave ritardo nell’azione del terzo gol. Proprio quando l’Atalanta, quasi inaspettatamente, l’aveva riaperta, quell’errore ha chiuso definitivamente i giochi. Il portiere è una certezza di questa Atalanta, e se una «papera» può sempre capitare, un errore come questa uscita davvero ci preoccupa.
3. La leadership
Preso il gol, l’Atalanta non è riuscita a scuotersi. Per carità: è capitato tantissime volte, in passato. Però questa squadra ha bisogno, ora, di un leader chiaro e riconosciuto. Di un giocatore che in campo metta la personalità, il carisma, la capacità di guidare la squadra e di darle una scossa. Gomez è andato, non lo stiamo rimpiangendo. Stiamo sottolineando il fatto che questa assenza ora va compensata dalla squadra. Toloi è il nuovo capitano, per «anzianità di servizio». Da capire se, forse, de Roon non sia un giocatore di maggior carisma. Detto che una fascia non cambia la sostanza, e da sola non vince la partita, forse è il momento, dato il vuoto che si è creato, che altre «personalità» mettano la testa fuori.
4. Kovalenko subito
La scelta della società di anticipare l’arrivo di Kovalenko va accolta con grande favore. Perché va bene la rosa corta, ma tra corta e risicata il passo è breve, essendo in corsa in tre competizioni. Kovalenko sarà utile, perché giocatore duttile, di qualità, giovane ma già con un discreto bagaglio d’esperienza. Mal che vada, userà questi mesi per capire, per imparare, per inserirsi. Ben che vada, darà una mano.
5. Romero e le regole
Infine, il caso che ha animato serata e mattinata pre-partita: la positività di Romero, rimasta ufficialmente tale nonostante tre tamponi negativi nella giornata di sabato. La circostanza ha scatenato ipotesi complottistico-vittimistiche: ecco, gli altri giocano sempre e i nostri devono restare in isolamento. Al di là che occorrerebbe ricordarsi che Gosens prima dell’Ajax fu dichiarato falso positivo in men che non si dica, se ci sono delle regole bisogna accettare quando vengono fatte rispettare, non sperare che anche a Bergamo si sia «elastici» come altrove. Perché la salute viene prima di tutto: quella di Romero - che evidentemente era debolmente positivo, ma non proprio così debolmente... - quella dei suoi compagni, quella degli avversari. Che questa stagione sia costretta a convivere con l’avversario invisibile, è noto. Può colpire a favore, può colpire a sfavore. Ha colpito Romero, proprio non ci voleva. Ma non è forzando la mano che si risolve il problema. Anzi, potenzialmente lo si fa esplodere. Non c’è soluzione.