La crisi dei diritti tv sta per esplodere: cosa insegnano lo stallo sulla B e il divario crescente col calcio inglese

scheda. L’approfondimento di Enrico Mazza/1ª parte

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Avete presente i sinistri scricchioli del Titanic prima di affondare? Provate a pensarci perché, non vorremmo sembravi troppo drammatici, ma il racconto dell’assegnazione dei diritti Tv in Italia ed in Europa ci rimanda tanto a quell’immagine cinematografica. Cominciamo dal fondo: il 18 agosto inizierà il campionato francese ma la Ligue 1 non è ancora riuscita a cedere i diritti per la produzione e la trasmissione delle partite; l’asta è andata deserta: Canal+, BEIN Sports, Amazon si sono defilate ed appaiono lontanissimi gli 800 milioni che la lega francese si era data come obbiettivo, rimane in piedi solo un’offerta al ribasso di Dazn che prevede circa 300 milioni annui fino al 2029. Non resta ora, salvo clamorose novità, che percorrere un improvvisato piano B che prevede la creazione del solito canale di Lega che possa raccogliere abbonati o vendere gli eventi ad altri operatori, un progetto che non permette di prevedere i flussi di denaro in entrata mentre presuppone dei costi certi. Pensiamo poi al prossimo mondiale per club voluto dalla Fifa che si svolgerà negli Usa la prossima estate: si prevedevano inizialmente introiti per 50 milioni per ogni club, oggi si è già scesi a 20 milioni lasciando un po’ interdetti i grandi club che, per quella cifra, e in quel periodo, preferirebbe far riposare i giocatori e successivamente organizzare fruttuose tournèe; in più ad un anno dalla manifestazione nessun broadcast ha ancora chiuso accordi. Scenari isolati che non ci riguardano? Non scherziamo e fermiamoci un momento ad osservare cosa sta succedendo nella nostra Serie B. Un campionato tutto sommato in ascesa d’interesse, formula dei playoff che appare convincente, audience televisiva in crescita, elementi che lascerebbero pensare a un certo interesse per chi deve comporre i palinsesti ed invece, in tutta risposta a questi segnali positivi, Sky e Dazn, che hanno trasmesso tutte le partite fino a giugno 2024, non hanno fatto offerte per il triennio 2024-27. Si stanno studiando proposte innovative come la cessione dei singoli eventi e soprattutto la possibilità di trasmettere per gli operatori con un unico costo in diverse modalità (ad esempio per Sky sia sul digitale che sul terrestre) ma naturalmente sempre con prezzi al ribasso tanto che l’obiettivo è ora ottenere ricavi per 20 milioni a stagione per salvare il salvabile.

L’assenza degli operatori alle aste televisive sta diventando un pericolo, proviamo a fornire loro qualche giustificazione: per anni il calcio è stato l’unico volano che potesse permettere di raggiungere alle pay-tv, in un determinato orizzonte temporale, un flusso di abbonamenti e quindi di cassa tali da far raggiungere un break-even di bilancio, un equilibrio tra diritti tv pagati alla voce spese e abbonamenti e annunci pubblicitari alla voce ricavi. Oggi questo parallelismo non esiste più: le principali piattaforme Tv più che comprenderlo da subito lo stanno metabolizzando. Significativo il caso di Sky Italia che, dopo essere stata per anni la Tv del calcio, 2 anni fa ha rinunciato all’esclusiva ed alla totalità delle partite per puntare a essere un emittente più generalista con largo spazio agli altri eventi, Champions, tennis e motori su tutti, senza dimenticare spettacolo e cinema. Le partite non sono più l’unico elemento trainante. La difficoltà oggi è stabilire con un ragionevole margine d’errore quanti abbonati può registrare l’esclusiva parziale o totale del campionato e più che assolvere tutti chiamando in causa l’annosa e stantia problematica del “pezzotto”, preferiamo introdurre il concetto dell’“experience”, il fenomeno che vede il consumatore, dopo 2 anni di rinunce a causa della pandemia, molto più disposto a spendere per un evento dal vivo piuttosto che a rimanere seduto sul divano; con questa motivazione si spiegherebbe anche la solida tenuta degli spettatori allo stadio come abbiamo visto anche in un recente approfondimento che potete leggere QUI.

È risaputo come nel biennio 20/21 gli abbonamenti a contenuti online abbiano battuto ogni record con la cifra stimata di ricavi globali mondiali per 70 miliardi di dollari, da allora però il vento è cambiato; Netflix ne è l’esempio lampante, a Wall Street nel novembre 2021 tocca il picco record della sua quotazione a 600 dollari ma solo dopo 6 mesi crolla ad un valore di 200 dollari sulla notizia di un milione di sottoscrizioni perse. La guerra dello streaming non finisce con la sottoscrizione dell’abbonamento, i clienti bisogna saperli mantenere e fidelizzare e ridurre al minimo il tasso di abbandono. Netflix comunque ha saputo superare la crisi, ne godono anche gli azionisti che hanno visto rapidamente risalire la quotazione del titolo, ampliando l’offerta ed aggiungendo alle tradizionali serie Tv, film di propria produzione, documentari di tutti i generi anche con ambientazione sportiva a strizzare l’occhio al mondo dello sport in diretta senza ancora abbracciarlo del tutto come invece ha fatto la concorrente Amazon Prime.

La differenza tra i 2 colossi sta nel fatto che Netflix non può permettersi di perdere soldi, da qui anche il ricorso alla pubblicità, gli abbonamenti condivisi ed altre formule commerciali mentre per Amazon così come per Apple investire in perdita sulla trasmissione di eventi sportivi è una condizione ammissibile a patto di ampliare il proprio bacino d’utenza a cui poter offrire altri servizi, in particolare e-commerce e telefonia o iscrizioni ad altri canali social come Twitch. Amazon agisce a macchia di leopardo, in Italia acquisisce alcune importanti partite di Champions, in Usa vorrebbe trasmettere in diretta durante il Black Friday, in Inghilterra lo fa durante il Boxing Day, le tradizionali feste natalizie. In questo scenario Apple e Netflix non potranno stare a guardare per molto anzi il colosso di Cupertino si è già attivato negli Usa trasmettendo sulla Apple Tv incontri della Major League Baseball ed in seguito della Major League Soccer. Sembrerebbe uno scenario perfetto per chi gli eventi li produce come le leghe professioniste; eppure, tutto questo non sembra ripercuotersi positivamente sul calcio europeo, anzi il Titanic è sempre lì che barcolla.

Il caso Premier League

 

Può essere utile fare un passo indietro fino a maggio 2021 quando un po’ a sorpresa la Premier League decide di estendere al 2025 gli accordi Tv garantendosi un ulteriore incasso annuo di circa 1,8 miliardi di sterline, alla luce di quanto sta accadendo una mossa strategica e particolarmente indovinata. Del resto la governance britannica sarebbe un modello da esportare, a contendersi le partite ci sono ben 4 player: Bbc Sport, Amazon, Sky Sports e British Telecom Sport oltre a poter contare sulla massima valorizzazione dei diritti internazionali forti di un campionato bello da vedere e spesso avvincente nei risultati. Un circolo virtuoso che si autoalimenta e che ha scavato un gap di competitività con gli altri paesi europei pur non dimenticando mai che non basta essere più ricchi per vincere e l’andamento delle competizioni internazionali per club della scorso anno ne è l’ennesima dimostrazione. A fine 2023 poi la Premier League raccoglie ulteriormente i frutti di questo scenario rinnovando la concessione per altri 5 anni fino al 2029 sempre a Sky Sports, BBC e Tnt Sports marchio sotto il quale operano Bt e Warner Bros. In cassa andranno 1,95 miliardi di euro a stagione, qualcuno storce il naso perché per la prima volta l’importo non è andato al rialzo anzi considerando che è aumentato il numero delle partite disponibili siamo nella migliore ipotesi al mantenimento ma se invece avete compreso il contesto in cui stiamo vivendo non può che apparire strategico il fatto che i club inglesi si siano garantiti flussi elevati e certi per i prossimi 5 anni. Già oggi la Premier incassa più del doppio della Serie A, specie se consideriamo anche i diritti internazionali e c’è il rischio che questo divario possa peggiorare. Per la stagione 22/23 l’Inter ha incassato 87 milioni, il Manchester City 2,3 volte di più cioè 207 milioni, l’ultima in classifica la Cremonese ha incassato 29 milioni, l’alter ego Southampton 4 volte di più, 121 milioni. L’Atalanta, una delle protagoniste del campionato, con i suoi 56 milioni è comunque sotto del 50% di tutte le squadre inglesi che lottano per la salvezza. Sono dati già noti, ora è il momento di guardare avanti, detto che l’Inghilterra è a posto per i prossimi 5 anni nella prossima puntata cercheremo di capire cosa stanno facendo gli altri campionati top e ricostruiremo la storia dei diritti in Italia. E racconteremo purtroppo una lunga sequenza di errori.