Se il tifo diverso
vale calci in testa

Non vogliamo nemmeno sapere se sia un laziale o un palermitano. E in fondo, non conta, non interessa. È un uomo a terra, forse incosciente. Lo si vede in un filmato che ha cominciato a girare in rete nel tardo pomeriggio. Centro cittadino di Palermo. Tifosi locali «assaltano» un bar dove sostenitori della Lazio aspettano l’inizio del match.

C’è chi parla addirittura di un folle appuntamento tra fazioni per darsele di santa ragione, per regolare chissà quali conti in sospeso in quel delirante codice ultrà che straparla di onore e rispetto, da dimostrare regolarmente a colpi di spranga.

C’è un uomo a terra, inerme, e ci sono altri uomini. In tre, uno dopo l’altro, si avvicinano e scalciano. Calci alla testa di quell’uomo, del quale non si hanno notizie. Il che potrebbe anche essere una buona notizia. In serata il bilancio delle forze dell’ordine parla di qualche ferito lieve e cinque palermitani fermati.

Ma non è questo il problema. Il problema è il fiume d’odio che porta un uomo a colpirne un altro inerme, solo perché porta una sciarpa differente. E il problema è un mondo - quello ultrà - che questi fatti li considera normali. Che non li condanna. Che li affoga nel silenzio. Chi sbaglia paga, è la loro scappatoia. E ci mancherebbe, ci permettiamo. Il problema non è pagare, ma non «sbagliare». Non ridurre una strada come una trincea, una città come un campo di battaglia, «solo» perché c’è da affrontare una tifoseria nemica.

Sono logiche troglodite, che travisano concetti nobili come la passione, come l’affetto per una maglia, riducendoli a carburante di ideologie, fanatismi, deliri collettivi, a fondamenta di teorie vittimistiche ripetute come mantra, in cui c’è sempre benaltro di cui occuparsi.

Se è di onore e rispetto che si parla, allora le tifoserie italiane dovrebbero, stamattina, dire tutte insieme che nessun uomo merita calci alla testa. Onore e rispetto si guadagnano espellendo la feccia, consegnando chi «sbaglia» perché sia consentito allo Stato di presentargli il conto da pagare. Così guadagnerebbero onore e rispetto, quelli veri. Non quelli che loro confondono con la garanzia di un’omertà meritata sul campo.

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