Cronaca / Bergamo Città
Sabato 13 Giugno 2020
«Zona rossa? Era ormai troppo tardi»
Conte spiega: «Fu una scelta politica»
L’aveva annunciato alla vigilia: «Rifarei la scelta perché ho agito in scienza e coscienza».
E venerdì 12 giugno, nelle tre ore passate a rispondere - da persona informata sui fatti - alle domande del pool di magistrati bergamaschi che indagano sulla mancata zona rossa, il premier Giuseppe Conte l’ha ribadito: fu una scelta politica, che arrivò dopo un confronto all’interno del governo e tra quest’ultimo e gli esperti. Era prevedibile che il presidente del consiglio dei ministri si assumesse la paternità della decisione, dal momento che a muovere i 370 tra militari dell’Esercito e dell’Arma, poliziotti e finanzieri che avrebbero dovuto cinturare Nembro e Alzano ai primi di marzo, era stato un ordine partito da Roma.
Fu questo dislocamento di divise a bloccare la Regione, hanno raccontato a fine maggio agli inquirenti bergamaschi il governatore lombardo Attilio Fontana e l’assessore regionale al Welfare Giulio Gallera, anch’essi sentiti come testimoni: la legge ci dava la facoltà di istituire la zona rossa, hanno in sintesi spiegato i due, ma vista la presenza di uomini dell’Esercito e delle forze dell’ordine, abbiamo ritenuto che stesse provvedendo il governo.
Ieri Conte al procuratore facente funzione Maria Cristina Rota e ai tre sostituti Fabrizio Gaverini, Paolo Mandurino e Silvia Marchina ha fatto presente una situazione leggermente differente da quella rappresentata da Fontana e Gallera, sottolineando che la scelta era stata condivisa con la Regione. Che, come emergerebbe dalle carte acquisite dagli investigatori bergamaschi, non avrebbe mai presentato ufficialmente richiesta di una zona rossa per i due paesi seriani, nonostante alcuni esponenti della Giunta ne avessero pubblicamente invocato l’attuazione.
La spiegazione di Conte
Ma perché il governo tergiversò, nonostante militari e poliziotti già pronti a intervenire? Perché, ha spiegato Conte ieri, si sarebbe trattato di istituire una zona rossa molto diversa da quella di Codogno. Intanto, il paese del Lodigiano era stato isolato immediatamente, mentre per Nembro e Alzano era già passata una decina di giorni, quindi molta gente aveva avuto modo di spostarsi, di subire ed esportare il contagio e c’era dunque la possibilità che altri focolai fossero già sorti in altre zone della Bergamasca. Anche perché, a differenza di Codogno, i due comuni seriani fanno parte di un tessuto territoriale ad alta densità abitativa dove non c’è in pratica alcuna soluzione di continuità tra un paese e l’altro.
Meglio allora, secondo Conte, una zona «arancione» estesa a tutta la Lombardia, come fu disposto l’8 marzo. Una spiegazione che diraderebbe i sospetti sulle presunte pressioni ricevute dagli industriali, contrari alla zona rossa. Stando a quando ha affermato Conte, dunque, la ragione che ha motivato la scelta sarebbe più di carattere tecnico-sanitario che economico. Ma su questo aspetto sono in corso altri accertamenti da parte della Procura di Bergamo. «Ho chiarito tutto nei minimi dettagli», si è limitato a dichiarare il premier al termine dell’audizione. Iniziata alle 9,45, quando i magistrati bergamaschi in missione a Roma hanno varcato il portone di palazzo Chigi.
Dove, nel pomeriggio hanno sentito il ministro della Sanità Roberto Speranza e quello dell’Interno Luciana Lamorgese.Speranza ha praticamente confermato la versione di Conte, dicendosi convinto delle scelte fatte e ricordando, come aveva fatto poco prima il presidente del consiglio, che l’articolo 32 della legge 883 del 1978 consentiva alla Lombardia di decretare la chiusura in maniera autonoma, come hanno fatto, ad esempio, Emilia Romagna e Campania. «Penso che chiunque abbia avuto responsabilità dentro questa emergenza - ha sottolineato il ministro al termine dell’audizione -, dal capo dell’Oms al sindaco del più piccolo paese, debba essere pronto a rendere conto delle scelte fatte. È la bellezza della democrazia. È giusto che sia così. Da parte mia ci sarà sempre massima disponibilità nei confronti di chi sta indagando».
Lamorgese e i 370 militari
Al ministro Lamorgese i pm hanno chiesto dei 370 uomini inviati in Bergamasca per provvedere alla cinturazione di Nembro e Alzano e rimasti in attesa dal 4 al 9 marzo in alcuni alberghi della zona di Zingonia. Da quanto è trapelato, la titolare del Viminale ha risposto che per attuare le decisioni del governo il ministero deve sempre farsi trovare pronto e muoversi in anticipo rispetto ai tempi, come è sempre accaduto, anche in passato.«Le audizioni si sono svolte in un clima di massima distensione e di massima collaborazione istituzionale - ha dichiarato Maria Cristina Rota, quando il pool dei magistrati è uscito da palazzo Chigi nel tardo pomeriggio -. Ora noi ce ne andiamo grati delle dichiarazioni che abbiamo avuto e torniamo a Bergamo a completare il nostro lavoro».
La frase del procuratore
Il procuratore facente funzioni, rispondendo a una domanda arrivatale dal folto schieramento di giornalisti, fotografi e cameramen, ha trovato modo di specificare anche il reale significato della frase («Chi poteva istituire la zona rossa? Da quello che ci risulta è una decisione governativa») che aveva rilasciato al Tg3 il 29 maggio, poche ore dopo che in Procura era stato sentito Fontana, parole che avevano suscitato un bailamme di polemiche politiche. «Io avevo detto che dalle dichiarazioni che avevamo agli atti emergeva quello, in quel momento. Oggi? No, non ho altro da aggiungere», ha precisato prima di salutare i cronisti e fare ritorno a Bergamo.
Insomma, le parole che quel giorno erano apparse improvvide e inopportune, perché sembravano spostare in modo netto eventuali responsabilità sull’esecutivo - e, per di più, prima ancora che fossero sentiti come testimoni i suoi membri -, ieri hanno assunto un altro significato: e cioè, che fino al 29 maggio le dichiarazioni testimoniali - Fontana e Gallera - acquisite dagli inquirenti indicavano la direzione di Roma per possibili implicazioni. Roma ieri ha ristabilito l’equilibrio.
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