Zona gialla, un ristorante su 2 non apre
Troppo pochi due giorni per organizzarsi

In molti hanno rinunciato: troppo pochi due giorni per organizzarsi e ripartire in modo adeguato. L’amarezza del settore: «Chiediamo di lavorare, di avviare una politica che ci permetta corrette alternanze».

«Era logico». Petronilla Frosio, ristoratrice di lungo corso e presidente di categoria per Ascom, non ha dubbi: «Io ieri ho aperto e lo sarò pure oggi, ma quei ristoranti che lavorano prevalentemente la sera che cosa stavano aperti a fare? Per due giorni in zona gialla?». Tanto più che «dopo Natale si lavora con menu nuovi, inutile farli per due giorni con davanti la chiusura del fine settimana e il punto di domanda di lunedì».

Morale, una saracinesca su due ieri è rimasta abbassata tra i ristoranti, e oggi (8 gennaio) il bis è garantito. Una decisione che molti hanno comunicato nei giorni precedenti con dei post dal sapore molto amaro sui social. Come Nicola Zanini, dell’omonimo ristorante enoteca di Borgo Santa Caterina: «Aprire un’attività di ristorazione vuol dire contattare i fornitori con qualche giorno di anticipo, verificare la disponibilità delle merce ed acquistarla, prevedere la mole di lavoro (in questi difficili giorni è davvero impossibile) perchè lavorando con i prodotti freschi ciò che avanza viene buttato o comunque perso, bisogna far rientrare i dipendenti con qualche giorno di anticipo (a ristorante chiuso e di conseguenza senza introiti) per pulire e sanificare gli spazi, per cominciare a preparare le basi di cucina, insomma una serie di costose attività che non verranno minimamente coperte dal lavoro a singhiozzo a cui siamo sottomessi».

«Non basta aprire una bottiglia»

Pochi i locali aperti anche in Città Alta dove l’assenza di turismo rende tutto ancora più complicato. «Amiamo fare il nostro lavoro con passione e dedizione e per farlo serve organizzazione ed il tempo necessario... Non ne abbiamo avuto il tempo, resteremo chiusi nei prossimi 2 giorni. Non scendiamo a compromessi perché presto e bene non stanno insieme» posta la Vineria Cozzi.

In città bassa nella zona di piazza Pontida la situazione di ieri a pranzo era di un’apertura su due, non di più: «Soprattutto gestioni piccole, con menu veloci: qualcuno in giro c’è stato, anche per lavoro, ma è comunque poca cosa» l’amara considerazione di Petronilla Frosio.

«Questa volta non abbiamo voglia di giocare a “strega comanda colore”, quindi rimandiamo l’apertura direttamente all’inizio della zona gialla. Non ci basta accendere un frigor e aprire una bottiglia, per noi riaprire è un grosso investimento di tempo, energia e soprattutto economico» scrivono su Facebook i ragazzi dell’Artisan Café di via Moroni.

«Ci sentiamo abbandonati»

Medesima situazione in provincia: c’è chi come «la Casa del pescatore» di Monasterolo ha preferito rimanere chiusa perché in una situazione a singhiozzo «riteniamo di non poter offrire un adeguato servizio ai clienti». Dallo stellato «Saraceno» di Cavernago, tutta l’amarezza dello chef Roberto Pronto: «Loro non lo sanno , ma non si apre un ristoratore schioccando le dita, per aprire e chiudere un ristorante in continuazione si sprecano soldi ed energia, ma soprattutto moralmente ci sentiamo presi in giro».

«Siamo gente che lavora sul campo, con ordini quotidiani, forniture fresche, una programmazione impossibile nei tempi dettati da decreti arrivati sempre all’ultimo e senza mai una logica uno dall’altro. Grande lo stress, lo sconcerto per decisioni arrivate purtroppo ogni volta in ritardo» è il messaggio che si legge nel gruppo Facebook di RistorantiBergamo, profilo che raggruppa oltre 30 locali molto quotati.

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Pubblicato da RistorantiBergamo su Giovedì 7 gennaio 2021

«Dietro ognuno di noi, ci sono dipendenti, fornitori, servizi. Ci sono famiglie rimaste senza stipendio o in attesa della cassa integrazione. Perché avviare aperture di pochi giorni e poche ore, senza un’organizzazione che tenga conto di come un ristorante avvia un’attività dopo che ha fermato obbligatoriamente il lavoro per settimane? Questo significa non aver ragionato seriamente sulla nostra categoria, abbandonandola nella totale incertezza». Con una richiesta che sa tanto di Sos: «Chiediamo di lavorare, di avviare una politica che permetta anche ai ristoratori corrette alternanze. Se così non succederà la nostra categoria rischia di morire».

Già. ma quando. La sintesi la tira ancora Petronilla Frosio, ed è amarissima: «Avere a che fare con un virus è irrazionale. Mi auguro di restare aperti a Pasqua. Vi sembra strana come cosa? Ma l’anno scorso chi avrebbe mai immaginato che a Natale saremmo stati ancora in questa situazione?».

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